Non profit

Ma chi cura l’Italia ha davvero a cuore l’Italia?

di Giuseppe Frangi

La Grecia serva da monito: 130 miliardi di aiuti, e in cambio Atene apre le porte alla presenza permanente della Troika ? Ue, Fmi, Bce ? e l’inserimento nella Costituzione di una norma sulla priorità dei pagamenti delle scadenze del debito. Come spiega efficacemente nella sua rubrica Inside Man (a pagina 15), i greci non vedranno neanche un centesimo di quei 130 miliardi, che andranno a pagare il debito alle banche straniere e a coprire gli interessi. Paese quindi a sovranità limitatissima, non solo perché sotto sorveglianza stretta, ma perché gli viene impedita qualsiasi azione che lo porti di nuovo a crescere. Marco Revelli aveva parlato di una “tecnocrazia feticistica” che tiene le redini dell’Europa. Fosse una “tecnocrazia pragmatica” si preoccuperebbe innanzitutto di evitare che la Grecia fra qualche mese si trovi di nuovo sul baratro. Non è il bene di una nazione l’obiettivo, ma l’applicazione pienamente ortodossa dei criteri liberisti.
Fatte le debite proporzioni, anche le logiche che muovono la politica italiana seguono le stesse strade. C’è una sorta di pensiero unico a cui tutte le necessità devono piegarsi e il ministro Fornero lo interpreta con una determinazione che non ascolta ragioni. Le ha espresse con chiarezza nell’audizione alla commissione Affari sociali della Camera settimana scorsa. Andrea Sarubbi, deputato in progress ? come si definisce ?, essendo presente le ha riassunte con efficacia. Primo: «Per migliorare il welfare ci vogliono soldi, e per i soldi ci vuole crescita. Senza crescita, al massimo possiamo parlare di redistribuzione». Secondo: «Non abbiamo risorse per una grande riforma dell’assistenza, quindi cerchiamo solo di evitare sprechi». Terzo: «Mi dispiace per i servizi sociali in crisi, ma non siamo in condizione di dare soldi ai Comuni». Quarto: «Cerchiamo risorse tramite una seria lotta all’evasione, ma ancora non le abbiamo». Chiosa finale: «Forse parliamo un linguaggio troppo duro, ma almeno non vendiamo illusioni».
È una logica che non fa un grinza, peccato che dentro gli ingranaggi di quella logica la realtà resti schiacciata. Lo vediamo giorno per giorno con la cronaca drammatica di un welfare che perde i pezzi. Lo Stato non ce la fa più, come il ministro ha drasticamente spiegato. I privati dal canto loro sono sempre più orientati ad occuparsi solo di chi è in grado di pagare. E in mezzo c’è il vuoto di pronto soccorsi abbandonati a se stessi, di pazienti dimenticati, di servizi essenziali che non riescono ad essere garantiti. In fondo governare un Paese con la logica solo contabile della spending review è molto semplice, specie se tutta l’informazione fa da coro e la politica, che dovrebbe avere il compito minimo di vigilare, è in stato di coma profondo. Governare un Paese cercando di immaginarne il futuro è più complesso e impegnativo. Vuol dire dare libertà, se le risorse non ci sono come ossessivamente viene ripetuto, a chi ha energie e idee per produrre ricchezza economica e sociale. Per essere concreti: il terzo settore è l’unico soggetto che potrà rispondere a quell’enorme quantità di bisogni che restano inevasi tra lo Stato e il mercato. È l’unico soggetto in grado di sviluppare un welfare produttivo e non più erogativo. Ma per farlo dovrà almeno essere messo nelle condizioni di procurarsi le risorse. Oggi invece si trova continuamente bersagliato o minacciato da misure punitive. Così viene il dubbio che chi oggi vuole sistemare l’Italia non abbia affatto a cuore l’Italia.

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