Welfare

Ma adesso dipendenza fa rima con malattia mentale

Nella settimana in cui lo spinello è tornato sotto i riflettori, un po’ per le dichiarazioni di Chiamparino un po’ per via dell’autista che a Vercelli ha fatto ribaltare un bus di bambini...

di Sara De Carli

Nella settimana in cui lo spinello è tornato sotto i riflettori, un po? per le dichiarazioni di Chiamparino un po? per via dell?autista che a Vercelli ha fatto ribaltare un bus di bambini in gita scolastica, molti operatori del settore erano impegnati a ragionare sulla doppia diagnosi. In termini tecnici si chiama «comorbilità psichiatrica nelle tossicodipendenze»: si tratta di persone che hanno contemporaneamente un problema di tossicodipendenza e uno di disturbo psichiatrico e pare essere un fenomeno che cresce di giorno in giorno. I due erano eventi distinti: a Bolzano il convegno nazionale Fict, incentrato sulla rete tematica ?doppia diagnosi?, a Roma il corso di aggiornamento della Sip – Società italiana di psichiatria, dedicato a cannabis, alcol e disturbi psicotici: ma il fatto che tutti ragionassero sul nesso tra dipendenze e salute mentale vorrà dire qualcosa.

Tre volte più difficile
«Vuol dire che la gran parte delle persone che arrivano ai servizi psichiatrici consumano sostanze», dice Mariano Bassi, presidente della Sip. Un fenomeno nuovo che si spiega così: «Gli adolescenti che arrivano da noi fanno quasi tutti uso di cannabis o sono policonsumatori per cui è difficilissimo stabilire qual è la dipendenza primaria. Certo che c?è una distinzione fra sintomi psicotici e malattie psichiatriche, però è risaputo che su sette adolescenti che consumano cannabis, uno diventa dipendente e che la dipendenza da cannabis genera due rischi: passare al consumo di altre sostanze e manifestare sintomi depressivi e piscotici, in particolare la schizofrenia. E non serve arrivare alla dipendenza: il semplice uso di sostanze è un elemento sfavorevole nel decorso dei disturbi mentali. Diciamo che rispetto a un giovane affetto da disturbo mentale, la dipendenza rende tre volte più complicata la cura e la presa in carico. Moltissimi poi concepiscono le sostanze come una forma di autoterapia e rifiutano una cura farmacologica».

Bassi cita poi alcune ricerche europee che provano la «relazione statisticamente significativa tra uso di cannabis e rischio di ammalarsi di schizofrenia», rischio che cresce in base alla quantità di principio attivo assunto e alla precocità del consumo. In particolare cita lo studio svolto in Svezia su 50mila militari di leva, durato 27 anni e terminato nel 2003: a fronte di un consumo intensivo di cannabis, il 5% dei giovani sviluppa malattie psichiatriche, ma il dato schizza al 20% tra chi aveva già manifestato sintomi di disagio. E conclude: «Occorre sensibilizzare l?opinione pubblica sul fatto che gli spinelli non sono né innocui né indolori».

Svolta italiana
I primi numeri in Italia sulla questione sono quelli della rete tematica ?doppia diagnosi? della Fict. Donatella Peroni ne è la coordinatrice. Sulle 2.744 persone in trattamento nelle comunità Fict nel 2006, in 632 si riscontrava una doppia diagnosi. Si tratta di un maschio celibe, tra i 30 e i 40 anni, con un diploma di scuola media, disoccupato (con quel che ne deriva in termini di reinserimento), che ha in genere disturbi comportamentali e di personalità: il 26% è già passato attraverso un?esperienza in una comunità terapeutica classica. La Peroni usa questo aggettivo perché nella rete Fict, dalla fine degli anni 90, esistono anche 16 comunità ad hoc per persone con doppia diagnosi e 5 moduli specifici in comunità normali: sui 49 centri Fict, 21 quindi si sono specializzati sulla doppia diagnosi.

«Il numero delle persone con doppia diagnosi aumenta sia per l?uso di cocktail di sostanze e per la poliassunzione, sia perché le comunità si fanno più attente. Un tempo le persone con patologie psichiatriche venivano rifiutate dalle comunità, oggi abbiamo costruito gruppi multidisciplinari e progetti ad hoc». Ma il nesso causale tra cannabis e disagio mentale c?è o no? «È una questione dibattuta», risponde la Peroni. «A volte è difficile stabilire quale problema sia insorto per primo. E comunque per il trattamento è poco significativo stabilirlo: quello che importa è che i due canali lavorino insieme».

Al bando la scelta tra l?uovo e la gallina: il dato concreto è che ancora troppo spesso tra i dipartimenti di salute mentale e le comunità terapeutiche c?è una delega reciproca della presa in carico di queste persone, mentre è essenziale sviluppare percorsi flessibili e condivisi, fin dall?inizio. Come fa la Provincia di Bolzano, ad esempio, che ha un protocollo congiunto dei due servizi fin dalla presa in carico: la doppia diagnosi diventa quasi unica.


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