Mondo

M.O.: c’è un Gandhi in Palestina?

Sari Nusseibeh, intellettuale che fa parte dei giovani di Al Fatah, lancia un appello contro i kamikaze e chiede di negoziare la pace. E teorizza la disobbedienza civile

di Giampaolo Cerri

Cresce il pacifismo palestinese. Un gruppo di intellettuali, riuniti intorno a Sari Nusseibeh, ha infatti diramato nei giorni scorsi un appello a sospendere gli attentati suici. Ora Nusseibeh rilancia, in un intervista a L’Espresso in edicala domani, la sua idea di pace. «Chiudere la pagina di sangue e riaprire quella del negoziato». E’ questo lo scopo dell’appello contro il terrorismo suicida, come lo racconta uno dei promotori. Un appello per il quale Nusseibeh ha ricevuto minacce di morte anche dall’organizzazione della gioventù di al Fatah, il partito di Arafat, di cui è lui stesso membro. Ma per Nusseibeh «non esiste minaccia che possa mettere a tacere la voce della ragione». L’idea dell’appello nasce dopo una discussione fra un gruppo di persone all’indomani dell’attentato a un autobus israeliano a Gerusalemme, spiega Nusseibeh che discende da una delle piu’ antiche famiglie della città ed è ministro per la questione di Gerusalemme dell’Amministrazione Palestinese. «Gli attacchi contro obiettivi civili israeliani sono da tempo elemento di discordia e di discussioni accesissime fra i palestinesi. Essi incrementano solo odio tra i nostri popoli. Per questo ci rivolgiamo anche agli israeliani perché non continuino a sfuggire agli obblighi politici, privilegiando quelli militari. Comunque il nostro appello ha avuto il merito di aprire un dibattito su nuove forme di lotta», afferma, ma ammette che «è difficile parlare di disobbedienza civile quando le nostre città sono invase dai carri armati israeliani».


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