Non profit

M.O. attivisti cercasi per Rafah

Appello dell'International Solidarity Movement: "ci servono volontari per il progetto Tende di pace".

di Redazione

Rafah,citta’ martire al sud della striscia di Gaza,al confine con l’Egitto. In poco piu’ di due anni di Intifada 220 assassinati di cui 50 bambini. 600 case demolite dai bulldozer israeliani, più di1500 feriti di cui 102 disabili permanenti. A Rafah, Israele sta costruendo un muro,il muro di separazione con la frontiera con l’Egitto. Per erigerlo si sta creando una fascia di 100,150 metri di “sicurezza” per cui distrugge e devasta tutte le case e le coltivazioni palestinesi in questa area. Gli abitanti di Rafah vivono con la costante minaccia della morte poichè i tanks israeliani sparano alle case, alle persone lungo il confine…Case sforacchiate, famiglie martirizzate, terrorizzate, con il pericolo costante di una pallottola o dfi una cannonata. Persone che ogni giorno temono sia il giorno o la notte in cui il bulldozer distuggerà la loro casa. Il muro è stato costruito per circa 1,5 km e 2 torrette sparano anch’esse sui civili palestinesi,colpendo le case,i contenitori dell’acqua,le antenne tv. A un estremo del muro c’e Sa’al adin gate una specie di porta, torre, postazione da cui l’esercito, spara e dove sono posizionati alcuni tanks permanenti. Altrimenti i carriarmati percorrono tutto il confine sparando indiscriminatamente alla popolazione civile.Un’altra torre è posizionata ad ovest di Rafah e controlla con i suoi cecchini gran parte della fascia di sicurezza nonchè il quartiere Zorob,il campo di Tel al Sultan e altre zone della città. Questa torre obbrobriosa spara anche missili ed è responsabile della morte di molti civili,così come Sa’al adin gate.Gli abitanti di Rafah non possono andare al mare poichè l’accesso è bloccato da 1 check point nella zona ovest. Questo check point impedisce da 2 anni il libero transito a Mawasi,importante villaggio agricolo nella zona. Molti abitanti di Mawasi non possono tornare alle loro case. La situazione è di povertà,oppressione e grande stress.I bambini vivono un clima di perenne tensione e spesso gli spari impediscono il corso delle lezioni. In questa situazione ci troviamo ad arrivare il18 dic 2002 5 attivisti dell’International Solidarity Movement….Spari tutta la notte e in parte della giornata,esplosioni. L’idea è quella di dormire nelle case a rischio così da proteggere i palastinesi dagli spari e dalle demolizioni. E’ la prima volta che degli internazionali operano a Rafah e la situazione è molto confusa e disorganizzata.Non si sa bene cosa fare per dare una reale protezione ai palestinesi poichè i tanks sparano indiscriminatamente soprattutto la notte.Si pensa che protestare alla torre o alla porta sia pericolosissimo e pazzesco muoversi davanti ai tanks.Qui i bambini non si possono permettere di tirare pietre perchè i soldati sparano pallottole ad alto potenziale e non c’è contatto con l’uomo ma solo con macchine e torri. Il 22 dicembre vari proiettili entrano nella casa dove è ospitata un’ attivista americana…Lei e la famiglia sono costretti a buttarsi al suolo. Il 23 dicembre un attacco in grande stile si svolge in block j…..Dopo una grande sparatoria e la demolizione di alcune case io e due attivisti decidiamo di rimanere con il capofamiglia palestinese e il fratello nella casa.Si pensa a come rendersi visibili a come provare a stoppare tanks e bulldozer. Mentre spari risuonano e si ragiona sul da farsi 2 esplosioni risuonano vicinissime e il capofamiglia decide di scappare dalla casa…Pochi secondi dopo una terza esplosione colpirà le stanze dove eravamo. Nella notte 12 tanks e un elicottero apache distruggeranno più di 10 case. Da questa esperienza capiamo che dobbiamo trovare una via per rendere utile la nostra presenza e verificare se abbiamo qualche potere di ostacolare la violenza israeliana. Il 29 dicembre, 20 attivisti internazionali, con 20 contadini di Mawasi cerchiamo di entrare al check point che ostacola l’ accesso al villaggio. Dalle torrette sparano e feriscono di striscio alla testa un reporter palestinese. Ritorniamo due giorni dopo con solo tre contadini palestinesi . Questa volta non sparano ma si appostano con la polizia militare impedendoci di entrare.Sono azioni che ci fanno guadagnare fiducia da parte dei palestinesi e in noi stessi. Il primo di gennaio, cerchiamo di bloccare la demolizione gia’ avviata di una casa a Brazil ma i 2 bulldozer continuano la loro opera ricoprendoci di terra e costringendoci a desistere.Il 2 gennaio, un’ altra demolizione di case in block j ci vede protestare per 2 ore davanti al carro armato che spara in terra e sopra le nostre teste, ci viene incontro e tira bombe lacrimogene; dopo questa azione, sia la gente del quartiere che noi stessi incominciamo a capire di avere delle possibilita’ di ostacolare gli attacchi da parte dell’ esercito israeliano. L’ importante e’ rendersi visibili.Nasce cosi’ l’idea di piantare delle tende di pace e di interposizione davanti alle case per proteggere la popolazione civile dagli spari e rendere tangibile la nostra presenza nella zona. Il 3 gennaio viene piantata la prima tenda nel block j. Sono i palestinesi stessi a montarla. Questa prima tenda diventa in pochi giorni una piccola fiammella di allegria e di presenza umana in una zona considerata pericolosissima. Pochi giorni dopo una seconda tenda verra’ posizionata a Brazil(altro quartiere di Rafah). Fino al 15 di gennaio, la presenza massiccia di persone fa si’ che gli spari e la incursioni in tutta Rafah diminuiscano di intensita’.La campagna i.s.m. finisce proprio il 15 lasciandoci in 3 e riducendo cosi’ la possibilita’ di effettuare un’ efficace protezione. Si pensa cosi’ a lanciare un appello per un invasione di tende a Rafah. Nel frattempo intensifichiamo i rapporti con la gente facendo amicizia, organizzando incontri e preparando il terreno per un coordinamento futuro.Svolgiamo anche dei lavori con i palestinesi proteggendo gli operai che riparano le condutture dell’ acqua distrutte dai bulldozer e i pali dell’ elettricita’. Aiutiamo anche i palestinesi a lavorare sui tetti delle loro case offrendogli quella protezione che e’ mancata a uno di loro il 23 gennaio quando, riparando l’antenna,e’ stato ucciso da una delle 2 torrette del muro costruito.Lo scarso numero non ha potuto evitare che il 25 gennaio, proprio nel quartiere dove avevamo una delle due tende, un tank di passaggio sparasse uccidendo un piccolo bambino di 8 anni. Eravamo li’ 3 ore prima e siamo tornati nella zona 40 minuti dopo. Nonostante queste tragedie, abbiamo constatato che la nostra azione, soprattutto se numerosa e coordinata, puo’ ridurre le uccisioni e gli spari da parte dell’ esercito e tentare di bloccare la demolizione delle case. La presenza e’ poi importante come sostegno morale a un popolo duramente afflitto da una situazione disperata. Vediamo adesso quali le possibilita’ per una campagna di interposizione permanente a Rafah a partire almeno da aprile. E’ importante la presenza di minimo 20 persone cosi’ da poter svolgere varie attivita’: 1) permanenza in tenda in almeno 4 aree della citta’(brazil, block j, aisalam,tel-al -sultan).Per coprire in maniera adeguata un’ area, c’e’ bisogno di almeno 5 persone di cui un paio possano dormire nelle case, cosi’da offrire una protezione piu’ completa alla popolazione. Nelle suddette aree e’ gia stato svolto un lavoro comunitario che vede la popolazione palestinese collaborare e gradire la presenza degli internazionali. 2) nel caso che in aprile, si arrivasse ad avere un numero di almeno 40/50 per un paio di settimane, si potrebbe organizzare una serie di azioni per l’ apertura del check point di mawasi in collaborazione con il comitato del villaggio di Mawasi. Ogni qual volta si raggiungera’ la quota di 40/50 persone(da aprile in poi) sara’ possibile lavorare per il diritto al libero movimento per la popolazione di Rafah e Mawasi. In particolare in estate diventa fondamentale l’ accesso al mare visto il caldo opprimente in queste localita’ ai confini con l’ Egitto. 3) Lavori di ricostruzione, riparazione, manutenzione degli edifici , della rete idrica ed elettrica nelle zone a rischio; accompagnamento dei bambini a scuola. 4) possibilita’ (nel caso di una presenza numerose e costante)della creazione di piccoli orti famigliari e comunitari nella fascia di terra vicino al confine nonche’ ripiantazione di alberi da frutto e ulivi protetti dalla presenza internazionale e delle tende. 5) possibilita’ di azioni di protesta e di interposizione nonviolenta. 6)presenza nelle ambulanze al fine di proteggerle e di consentirgli l’ assistenza ai feriti negli scontri(soprattutto di notte). PER ADESIONI ALLA CAMPAGNA E PER CREARE UNA RETE DI COORDINAMENTO: Nicola wakancrist@libero.it; francesca 3406774683 o 0323 557943

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