Cultura
M.O. Appello giovani arabi-cristiani, non dimenticateci
Nael e Ruba, questi i nomi dei due ragazzi, sono intervenuti in una conferenza stampa promossa dalle Acli (Associazione cristiana lavoratori italiani) in collaborazione con Oltrecitta', svoltasi a Ra
di Redazione
Sono due giovani arabo-cristiani che vivono in Terra Santa e ne raccontano la guerra, portando un messaggio del patriarca di Gerusalemme, Michel Sabbah alla comunita’ internazionale, perche’ aiuti ”a risolvere” un conflitto che colpisce soprattutto ”la comunita’ cristiana in minoranza e dedita ai settori piu’ deboli”. Nael e Ruba, questi i nomi dei due ragazzi, sono intervenuti in una conferenza stampa promossa dalle Acli (Associazione cristiana lavoratori italiani) in collaborazione con Oltrecitta’, svoltasi nella sede di Radio Vaticana. ”Sono qui perche’ la mia testimonianza possa aiutare tutti a comprendere la situazione che sta affligendo il Medio Oriente”, spiega Ruba Izz, una 23enne araba palestinese cristiana residente a Ramallah, il quartiere generale assediato del leader palestinese Yesser Arafat. ”La comunita’ locale cristiana e’ una ristretta minoranza. All’inizio della nuova intifida ci siamo anche chiesti perche’ dovessimo rimanere a subire questo conflitto, ma la risposta e’ giunta spontanea: le nostre radici come cristiani sono qui e noi siamo parte del popolo palestinese, con il quale conviviamo con rispetto e affetto reciproco e al quale rimarremo vicini”. ”In questo contesto – ha continuato Rubia – il nostro ruolo come ‘terza parte’, stretta cioe’ tra il popolo musulmano e quello ebreo, e’ di diffondere un messaggio di pace. La convivenza pacifica e’ infatti possibile e tutti, soprattutto noi giovani, hanno il diritto di vivere liberi e realizzare i propri progetti. Oggi, invece – aggiunge – i giovani vivono senza prospettive, perche’ quando si e’ in guerra diventa difficile fare progetti e proiettarsi verso il futuro”. Nael Abu Rahmoun vive invece nei territori israeliani, a Nazareth, ha 24 anni ed e’ un cristiano palestinese arabo israeliano. ”Sono uno dei palestinesi del ’48 – spiega Nael, riferendosi all’anno in cui l’Onu e molte nazioni riconobbero lo stato di Israele – e qui la comunita’ cristiana rappresenta solo il 2% della popolazione e la convivenza non e’ facile ne’ con gli arabi, ne’ con gli ebrei. Noi, pero’, continuiamo a portare un messaggio di speranza – continua Nael – perche’ la societa’ israeliana diventi un grande esempio di pace e tolleranza, tra due popoli e tre religioni”. Secondo il giovane sono molti i segnali che fanno sperare in una futura convivenza pacifica tra i popoli: la somiglianza e le fusioni lessicali tra la lingua araba ed ebrea, ad esempio, o l’esperienza universitaria in cui i giovani arabi, ebrei e cattolici vivono quotidianamente vicini, creando anche forti amicizie e condividendo anche momenti di riflessione. ”Di fronte a queste esperienze mi sono reso conto dell’importante ruolo che i giovani ricoprono nel mio Paese e in tutto il mondo – afferma Nael – e per questo auspico che possano essere organizzati numerosi incontri, che coinvolgano i giovani di tutto il mondo e che permettano alle varie culture di conoscersi, rispettarsi, unirsi e amarsi: un cammino per far rinascere nell’uomo l’amore e il rispetto per il prossimo, da qualunque nazione provenga e a qualunque confessione appartenga”. Perche’ torni la pace, convengono comunque i due ragazzi, ”e’ necessario che l’intera comunita’ internazionale intervenga”. Cosi’ come scrive mons. Sabbah nel suo appello, affinche ”tutti gli amici delle associazioni e tutti i responsabili politici possano portare il loro contributo politico, culturale e materiale per aiutare i due popoli che soffrono di un conflitto che colpisce non solo gli abitanti di questa terra”, ma mina la ”pace del mondo intero”.
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