Israele / Palestina

“Lutto a Lod”, la pace possibile in un rene donato

Una spirale di morte interrotta dal gesto di generosità di una famiglia israeliana nei confronti di una donna araba cristiana: il film "Mourning in Lod" della regista di Tel Aviv Hilla Medalia è un messaggio di speranza, nel dolore infinito del conflitto. Abbiamo incontrato la produttrice, Rotem Heyman, in occasione della anteprima nazionale al Pordenone Docs Fest. «La condizione di guerra, che viviamo da anni, fa dimenticare le cose importanti della vita», dice. Il fonico israeliano ucciso il 7/10 e l'interprete palestinese è disperso a Gaza

di Elisa Cozzarini

«La nostra squadra di lavoro è un microcosmo che rispecchia il conflitto tra Israele e Palestina oggi», dice Rotem Heyman, 25 anni, israeliana, co-produttrice del documentario Mourning in Lod (Lutto a Lod), della regista e produttrice Hilla Medalia, ieri in anteprima nazionale al Pordenone Docs Fest. «Il fonico è stato ucciso il 7 ottobre. Non era al rave, era semplicemente uscito presto per fare un giro in bicicletta. Dell’interprete palestinese, di Gaza, non abbiamo più notizie da dicembre, non riusciamo più a metterci in contatto con lui. Da sempre le nostre opere nascono dalla collaborazione tra israeliani e palestinesi. Il senso del nostro lavoro è raccontare storie per chi non può farlo».

Rotem Heyman, co-produttrice del documentario Mourning in Lod (foto di Elisa Cozzarini)

Il film è stato presentato per la prima volta a Tel Aviv nel maggio 2023. Da allora è in viaggio per i festival cinematografici del mondo ed è un’occasione per parlare del conflitto portando un filo di speranza. È una storia di odio, amore e perdita, a Lod/Lydd, città “mista”, dove convivono con difficoltà israeliani e palestinesi. Il destino di tre famiglie si intreccia in una spirale di lutti che sembra interrompersi solo grazie a un grande gesto di generosità: la donazione di un rene a una donna cristiana palestinese, Randa Aweis, da parte della famiglia Yehoshua. All’alba del 10 maggio 2021, un cittadino arabo, Moussa Hassouna, che si preparava a partire per le vacanze con la moglie Marwa e le figlie, viene assassinato da un colono israeliano. Per i palestinesi Moussa diventa un martire. Si scatenano scontri per le strade di Lod e lì viene ucciso un uomo israeliano, Yigal Yehoshua, colpito mentre rientrava a casa in auto. La moglie Irena e il fratello Efi decidono di donare gli organi di Yigal, che si era sempre battuto per il dialogo, perché sanno che quella sarebbe stata la sua volontà.

«In quel momento, nel 2021, pensavamo che il conflitto fosse al culmine, non immaginavamo quello che sarebbe successo dopo. Eravamo alla ricerca di una storia per raccontarlo. Il destino intrecciato di Yigal e Randa ci ha colpito subito e siamo partiti da lì», spiega Heyman. «A più di un mese dall’inizio delle riprese siamo venuti a conoscenza della connessione con la morte di Moussa. I media israeliani mostrano sempre solo una parte della storia. Noi volevamo tutta la verità».

Efi Yehoshua, nel film

Marwa, la moglie di Moussa, nella sua ricerca di giustizia, è stata felice di poter parlare del suo dramma, far conoscere la verità sull’uccisione di suo marito. Maggiore resistenza c’è stata da parte della famiglia di Yigal: loro volevano solo vivere il lutto. Continua Heyman: «Per me il termine “città mista” è fuorviante. Fa pensare a un luogo in cui si convive, invece sono città dove israeliani e palestinesi conducono esistenze parallele, senza condividere spazi comuni. Soprattutto, non si capiscono, e questo genera paura. Sei in autobus, senti una conversazione qualsiasi e suona comunque minacciosa, perché non sai cosa dice. Viviamo in uno stato di tensione costane».

Heyman ha lasciato Israele lo scorso gennaio. «Viaggiando per l’Europa con il mio compagno, spesso ci scambiano per arabi: vuol dire che non siamo poi così diversi», racconta. «Non voglio negare la mia identità ma allo stesso tempo ho un problema con il mio Paese, con quello che sta facendo il governo a Gaza. Noi israeliani siamo costretti a domandarci chi siamo e cosa significa oggi essere cittadini di quello Stato, basato sulla violenza, a partire dal servizio militare obbligatorio. Da sempre considero l’idea di lasciare Israele. Uno dei miei fratelli è già a Berlino. Ma il resto della mia famiglia è ancora a Tel Aviv e io non ho ancora deciso cosa farò. Di certo sento che tutto è cambiato dopo il 7 ottobre».

Anche Heyman ha fatto il servizio militare. «Allora pensavo solo di dover superare quello scoglio, per potermi prendere la mia vita. Ci sono pochi modi per evitarlo. Uno è fingere di avere problemi mentali, pagare qualcuno perché lo certifichi. Ma io non volevo fingere. E non avevo il coraggio di fare come fanno alcuni, rifiutarsi e finire in carcere. Ora forse avrei quella forza. Sono stata fortunata perché, anche se con l’uniforme dell’esercito, l’ho fatto come educatrice in una scuola, ma dover imparare a usare un’arma è stato traumatico».

La società israeliana profondamente divisa

Tra i progetti che l’hanno impegnata di recente per la casa di produzione di Hilla Medalia, Heyman ha lavorato a una serie tv girata interamente nella West Bank: Grounded, al momento visibile solo in Israele, ma che verrà distribuita prossimamente a livello internazionale. È il racconto della vita quotidiana attraverso la cucina palestinese: «Parlare di cibo significa anche mostrare la difficoltà di irrigare che affrontano i contadini arabi perché Israele nega loro l’acqua necessaria. Significa parlare di politica, senza dichiararlo».

Heyman vede la società israeliana come profondamente divisa, attraversata dall’odio. «Si respira una grande tensione. Siamo senza speranza e abbiamo paura di quello che potrebbe ancora accadere, viviamo una fortissima sensazione di insicurezza. Conoscevo tre dei ragazzi uccisi il 7 ottobre, siamo cresciuti insieme, anche se non eravamo amici. Provo dolore per loro, posso solo immaginare quello che sentono le persone che hanno perso i propri cari. Ma sono distrutta anche se penso ai morti di Gaza. L’unica speranza che ci resta è che tutto questo non sia invano, che impariamo a mettere in primo piano i diritti umani. La condizione di guerra continua fa dimenticare le cose importanti della vita».

La foto di apertura è tratta dal film Mourning in Lod.

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