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L’uranio impoverito non è l’unica causa: chiediamo chiarezza sull’inquinamento chimico in Kosovo

di ANPAS

Secondo alcuni esperti contattati dall’Anpas Internazionale, l’impatto dovuto all’impiego di proiettili all’Uranio Impoverito nei modi e nelle quantità indicate dal Governo, non giustificherebbe le attuali conseguenze sanitarie tra i militari.
Basti pensare che nel primo centimetro di spessore del suolo della sola città di Milano sono contenute circa 100 tonnellate di Uranio naturale, equivalenti a circa 400 tonnellate di Uranio impoverito, mentre in tutto il Kosovo ne sono state scaricate complessivamente 10 tonnellate.
Stando alle notizie attualmente disponibili, tra i militari non sembrano esserci conseguenze sanitarie legate alla tossicità dell’uranio (nello specifico patologie renali): questo significa che le dosi ricevute dai militari sarebbero al massimo equivalenti ad un paio di lastre al torace e decisamente inferiore ad una TAC.
“Un po’ poco – dichiara Andrea Borio, Presidente dell’Anpas Internazionale – per giustificare le conseguenze sanitarie che sembrano evidenziarsi.
Bisognerebbe cercare anche altrove: forse i militari hanno utilizzato sostanze chimiche (anche durante le attività ordinarie) o sono stati vittime (come i civili e i volontari) dell’inquinamento chimico provocato dal bombardamento di industrie chimiche in Kosovo
“E’ proprio questo – conclude Andrea Borio – che si domanda l’Anpas Internazionale, che ha impegnato durante il periodo di crisi oltre 1100 volontari e che è attualmente impegnata nella realizzazione di progetti di ricostruzione in Kosovo”.

L’ Anpas Internazionale chiede quindi al Governo:
– di fare chiarezza sulle possibili conseguenze sulla salute dei volontari e della popolazione del Kosovo non solo limitandosi a considerare come causa l’uranio impoverito ma anche e soprattutto l’inquinamento chimico indotto sul territorio.
– di ricercare la causa delle eventuali conseguenze sanitarie tra i militari non limitandosi solamente a considerare l’uranio impoverito, ma anche e soprattutto le sostanze chimiche con le quali i militari vengono in contatto nella loro attività ordinaria ed in occasione di eventi bellici.
– di impegnarsi con la massima urgenza affinché le risposte siano trovate al più presto per non alimentare una situazione di allarmismo e panico tra i volontari attualmente non supportata da basi scientifiche.

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