Formazione

L’uomo nero a scuola

Mohamed Ba è senegalese, professione educatore. La sua missione è raccontare l’Africa ai bambini delle medie

di Emanuela Citterio

«Se ti dico Africa che ti viene in mente?». «Neri», è la risposta di un tappetto sdraiato in quarta fila, cappello calato sugli occhi. La ragazza davanti: «Un continente grande molto popolato». «Sottosviluppato», chiosa un compagno. Raccontare l?Africa a scuola è la sfida di Mohamed Ba, senegalese, di professione educatore e suonatore di djembe. La partenza da Milano è alle 7.30, destinazione Cassano D?Adda, comune di quasi 17mila abitanti al confine delle province di Milano, Bergamo e Cremona. «Osserva l?impatto», mi dice prima di entrare nel salone che raccoglie tre classi di terza media dell?istituto Leonardo Da Vinci. Il suo ingresso fa piombare il silenzio e avviene, lento, tra un misto di curiosità, scetticismo e sorpresa. L?impatto con il diverso, lo chiama Ba che, non c?è dubbio, sa tenere la scena. Manovra le parole con abilità, modula la sua voce insieme al racconto. Dallo zaino estrae tre oggetti. Una piccola maschera, «si fa indossare ai neonati», spiega. «In Senegal è più che un oggetto, la persona diventa in qualche modo la maschera, e tutte hanno un significato». Un piccolo sgabello di legno a forma di coccodrillo, ricordo della circoncisione: «Ognuno lo tiene sotto il letto per ricordarsi che non è diventato adulto automaticamente, ma attraverso riti e passaggi». Un totem di pezza cucito con sonagli, per la donna che non riesce ad avere figli, simbolo mitico della fertilità. «Io so chi sono e da dove sono partito», si erge, sembra più alto, Mohamed Ba. «Mio nonno ci radunava intorno al fuoco e raccontava: il tronco d?albero può restare nell?acqua degli anni, ma non diventerà mai coccodrillo. Io sono senegalese, anche se vivo da vent?anni in Europa. L?Africa è dentro di me. E voi? Cosa fa di te un italiano?». La prospettiva, in sala, si rovescia. «Quando nasce un bambino in Italia, si appende un fiocco, rosa o azzurro. Perché proprio questi colori?». Nessuno sa rispondere. «Se sai chi sei non hai paura dell?altro, ogni incontro diventa una ricchezza». Parla anche dei problemi dell?Africa, Mohamed. Di un ragazzo che torna da scuola esausto, dopo ore percorse sotto il sole, e sente da lontano il canto della madre, segno che non c?è nulla da mangiare e cantare è l?unico modo per non pensarci. «Io andrei a rubare per dare da mangiare ai miei fratelli». «Io mi nasconderei su un aereo che va in Europa». «Non potrei sopportare di vivere così, se la situazione non dovesse cambiare, forse mi suiciderei». Drastiche e spontanee le risposte arrivano su tanti foglietti di carta. «Ba, ma tu lo conosci Oba Martins?». L?immagine migliore dell?Africa in Italia è quella dei campi di calcio. «Conosco Youssun? Dour», mi risponde Ba ritornando a Milano, «abitava nel mio quartiere a Dakar. Suo padre non voleva che cantasse, e lui girava lo stesso tutti i locali. La sua fortuna è aver incontrato Peter Gabriel. Hanno lavorato insieme sui suoni africani. Il pop britannico aveva bisogno di un sound diverso».


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