Formazione

L’uomo che sapeva parlare ai bambini

Si è spento a 92 anni Mario Lodi, protagonista assoluto della pedagogia italiana. A lui si ispirò don Milani, per la scrittura collettiva di “Lettera a una professoressa”

di Francesco Mattana

Quando scriveva Il paese sbagliato Mario Lodi parlava di Vho di Piadena, piccola frazione nel cremonese in cui era nato e dove aveva insegnato per ventidue anni. Ma poiché era provvisto di antenne lunghe, pensava nel contempo al Paese con la p maiuscola. Questo non significa che avesse un atteggiamento disfattista, dimissionario. Anzi, tutt’altro: fino alla fine è rimasto legato al proposito di levare dalla scuola pubblica le incrostature del passato, i retaggi autoritari volti a terrorizzare l’alunno e non a comprenderlo. Ci ha lasciato l’altro ieri, il maestro Lodi, nella tranquillità della sua dimora di Drizzona. Una lunga vita vissuta nella convinzione che il chiasso sia foriero di disordine, il nemico numero uno per chi ha in animo di portare avanti una sfida importante, dove la posta in palio è creare una società migliore per tutti. Ribadì il concetto due anni fa, quando compì 90 anni: «Silenzio e meditazione. Noi novantenni possiamo ricordare la nostra vita, le imprese se ci sono, e null'altro. Ci resta poco da vivere e dobbiamo prepararci a questo passo estremo che è la fine».

Saggezza, dunque, accompagnata da una risolutezza che sempre lo aveva contraddistinto, fin dalla giovinezza. Imberbe, ma già con le idee chiare riguardo al fascismo: non voleva partecipare agli entusiasmi giovanili per l’imminente entrata in guerra. Il 10 giugno 1940, mentre il Duce alimentava il patriottismo dei concittadini con metafore dannunziane, il diciottenne Lodi era in tutt’altre faccende affaccendato: stava a Cremona, a ritirare il diploma magistrale. Col senno del poi sembra impossibile, visto l’enorme contributo che le sue idee hanno dato alla pedagogia, ma lui non sognava di diventare maestro. Lo affascinava piuttosto la figura del falegname: Geppetto era il suo idolo, la sua abilità nel creare i burattini lo incuriosiva. Poi venne la guerra, che per chi –come lui- possedeva una sensibilità spiccata, significò soprattutto una cosa: una follia, una autentica follia dalla quale bisognava riemergere al più presto, rimboccandosi le maniche. La pensavano come lui altri due signori, di cui già abbiamo avuto modo di parlare sulle colonne di Vita: don Lorenzo Milani e Alberto Manzi. Più o meno coetanei (il più anziano era Mario), accomunati da questa idea: la rivoluzione –pacifista, non violenta, leggera come una piuma e forte come l’acciaio- doveva partire dai banchi di scuola; è impensabile anche solo immaginare una società più giusta, se non si danno fondamenta stabili a chi, come i bambini, si è da poco affacciato al mondo.

Lodi –che nel frattempo da maestro si confrontava, giorno dopo giorno, con realtà scolastiche molto lontane dal progetto educativo che aveva in mente- diventò nei primi anni Cinquanta esponente del Movimento di Cooperazione Educativa –associazione che, ispirandosi agli insegnamenti del pedagogista Célestine Freinet, si poneva come fine di costruire le condizioni per un’educazione popolare, vista come garanzia per il rinnovamento civile e in senso democratico.

Don Milani guardava con estremo interesse al suo disegno pedagogico. Riassumere in un articolo la totalità dei contributi di Mario Lodi alla cultura italiana è impossibile, ma questo elemento va doverosamente sottolineato: Lettera a una professoressa fu scritto perché il sacerdote rimase colpito dall’intuizione –elaborata dal maestro di Piadena- della scrittura collettiva dei testi. La scuola di Barbiana, dunque, è entrata nella leggenda anche grazie a questo insegnante schivo ma non timido, mite ma non arrendevole.

Lodi, che non amava le luci della ribalta, partecipò a un dibattito televisivo negli anni Settanta. L’atmosfera non era rovente come nei talk-show moderni comunque la tv, già allora, prediligeva i caratteri un po’ fumantini, per tenere desta l’attenzione degli spettatori. In quell’occasione, come sempre, il maestro non sentì il bisogno di esporre la propria opinione con toni urlati: spiegò, in maniera educata e senza sovrastare gli interlocutori, in cosa consistesse l’esperimento che da anni portava avanti coi suoi allievi a Vho di Piadena; specificò che la via da lui intrapresa non era la più importante, né tantomeno l’unica da prendere in considerazione: semplicemente, a suo avviso, la scelta giusta era dare ai più piccoli gli strumenti per imparare a osservare il mondo coi propri occhi. Per modestia non lo ha mai detto, ma la verità è che, offrendo loro questa opportunità di essere protagonisti attivi –e non serbatoi passivi di nozioni astratte- i risultati sono stati eccellenti. Ad esempio, questo metodo di lavoro collettivo, di interattività costante tra docente e discente, ha portato alla creazione della fiaba Cipì: il passerotto che si butta a capofitto nel mondo perché è curioso, perché vuole imparare, perché ha sete di nuovo, rappresenta secondo Lodi l’esempio che tutti gli uomini –non solo i bambini- dovrebbero seguire. Questo uccellino ricevette il plauso di Gianni Rodari; più in generale, la scuola di Piadena ebbe una corrispondenza fitta con lo scrittore piemontese –non è un caso che l’incipit del suo libro Storia universale sia "In principio la terra era tutta sbagliata": sbagliata, come il paese descritto da Lodi coi suoi ragazzi nel best seller Einaudi.

Il presente della scuola italiana non rallegrava affatto l’anziano pedagogista. Sempre in occasione del novantesimo genetliaco, si è espresso in questi termini: «L'Italia è un disegno incompiuto. Non è nato il popolo che volevamo rieducare, così come non è nata la nuova scuola che avevamo in mente. Se mi volto indietro, se penso al nostro lavoro di quei decenni, mi sembra tutto vanificato». Su questo, maestro, ci permetta di dire che si sbagliava di grosso. Certamente la scuola nel suo complesso non ha assorbito gli insegnamenti della sua generazione, ma i vostri erano progetti talmente solidi che non si vanificheranno mai. C’è speranza se questo accade al Vho, era il titolo di un suo libro. C’è speranza perché la lezione di Mario Lodi è sempre viva, aggiungiamo noi.

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