Volontariato

L’uomo che non volle vedere le nuvole

Vi racconto la storia del mio nonno “sefardita milanese”, che volle a tutti costi vivere in Italia. E si salvò per un disguido ...

di Daniela Sassoon

Nel 1919 mio nonno materno, ebreo sefardita, ancora scapolo lasciò Aleppo, sua città natale, e si trasferì a Milano. Qui avviò un?attività di import-export nel tessile.

Mi è stato descritto come un uomo dallo spiccato senso dell?umorismo, emotivamente distante, poco incline agli eccessi. Perciò vent?anni dopo, milanese d?adozione e con la tessera del partito fascista in tasca – status di integrazione dell?epoca – non si lasciò certo impressionare dalle leggi razziali, cui semplicemente si attenne: la graduale diminuzione dei suoi diritti gli parve un prezzo tra i tanti da pagare, la strategia politica di quel momento storico, pretestuosa, passeggera. Il lavoro non ne risentiva: perché preoccuparsi?

Gli ebrei sefarditi, cresciuti soprattutto nei Paesi arabi, devono ancora affrancarsi dal sogno occidentale: futuro, progresso, modernità, ricchezza materiale, questi i loro miti. I loro fratelli askenaziti, perlopiù figli d?Europa, ne hanno invece già conosciuto i limiti, le mistificazioni, l?insita alienazione: non c?è nessun Nuovo Mondo da conquistare, le vette cui puntano sono quelle del pensiero. Askenaziti infatti sono stati quasi tutti i filosofi, gli scrittori, i musicisti, gli scienziati, la parte cosiddetta colta dell?ebraismo. Sei milioni di loro sparirono dalla terra qualche anno dopo, come mai nati.

Nell?inverno del 1940 il nonno tornò in Egitto per incontrare alcuni clienti, ma decise di fermarsi qualche mese in più per cercare moglie. La trovò – mia nonna -, la chiese in sposa, e si preparò per il rientro in Italia.

A nulla valsero i tentativi dei genitori della nonna di dissuaderlo: lui rassicurava gli animi, minimizzava. Mussolini non sarebbe entrato in guerra, ne era certo. Credo – ma è un?opinione personale – che quelle regioni natìe gli sembrassero ormai anguste e provinciali. Il cielo mediorientale gli appariva insopportabile, pesante: contro ogni logica, desiderava rivedere le nebbie padane su cui intanto si addensavano nubi ben più mortifere.

Al porto di Alessandria d?Egitto piangevano tutti. I parenti della nonna, accorsi in gran numero, salutavano la coppia di sposi ?italiani? in procinto di imbarcarsi per Genova (immagino la gioia contenuta del nonno, probabilmente a disagio per tutte quelle lacrime), ma un funzionario del porto, addetto al controllo dei passaporti, bloccò la coppia sulla banchina: i documenti della signora non sono in regola, niente da fare, non può partire. Il nonno interviene, insiste, lo prega. «Che problema c?è?», chiede l?impiegato. «Procuratevi le carte mancanti, ve ne andrete tra qualche settimana. L?Egitto è un Paese bellissimo, lo sa?».

Ho saputo che quel giorno poi fu il nonno a piangere, frustrato per la mancata partenza, mentre la nonna, di ottimo umore, riabbracciava i suoi cari.

Durante i giorni di navigazione, Mussolini dichiarò guerra alla Francia e alla Gran Bretagna. La nave su cui si sarebbero dovuti imbarcare giunse a Genova: tutti i passeggeri ebrei che si trovavano a bordo furono sbarcati, arrestati sul molo e in seguito deportati.

Il nonno rivide la ?sua? Milano alla fine del 1945. Lo immagino, in seguito, mentre attraversa la strada schivando un tram. Sta ritornando a casa: il destino lo ha fatto sopravvivere. Il peso di questa fortuna gli schiaccia l?anima. Affretta il passo per non pensarci.

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