Università
L’università dei salesiani punta su Terzo settore ed economia sociale
All'Unisalesiana parte un ciclo completo di studi nelle discipline giuridiche, economiche ed etico-umanistiche nell’ambito del non profit e dell’economia sociale. Ne parliamo con il rettore, don Andrea Bozzolo
Tre livelli universitari interamente dedicati al Terzo settore. Arriva da una Università pontificia una piccola rivoluzione culturale: un corso di laurea di primo livello in Management e Diritto degli Ets e dell’economia sociale che si completa con un corso di laurea magistrale in Etica, economia e diritto del Terzo settore con con due indirizzi di specializzazione: Scienze delle organizzazioni sociali e dello sviluppo umano e Cooperazione allo sviluppo e un corso di alta formazione post laurea per Dirigenti di Enti del Terzo settore.
La particolarità è che i corsi di laurea sono nella facoltà di Filosofia, a significare che la formazione curricolare terrà in conto anche l’aspetto umanistico, etico, delle professioni che servono al terzo settore. Il comitato scientifico dei corsi di studio è formato da Luigi Bobba, Renato Tarcisio De Moraes, Cristiana Freni, Massimiliano Giorgi, Don Joshtrom Isaac Kureethadam, Alessandro Lombardi, Gabriele Sepio e Stefano Zamagni.
«Anche se l’espressione Terzo settore lo qualifica come “terzo” rispetto ai due settori tradizionali (stato e mercato) esso rappresenta ormai un punto di riferimento fondamentale per lo sviluppo dell’economia sociale. Solo in Europa sono 2.8 milioni le organizzazioni non profit che danno lavoro a 13.6 milioni di persone, di cui un milione in Italia dove operano più di 5.5 milioni di volontari», si legge nella scheda dei corsi di laurea.
Abbiamo incontrato il Rettor magnifico della Università Salesiana, il professore don Andrea Bozzolo, insieme al direttore della comunicazione e dello sviluppo dell’Unisalesiana, Francesco Langella, per approfondire i temi e la mission del percorso di studi.
Il Terzo settore avrà un ruolo maturo e politico quando riuscirà a fare da perno nell’evoluzione del cambiamento culturale, politico ed economico della società attuale.
– don Andrea Bozzolo
Don Andrea, parlate di “Terzo settore” come di “luogo” che ha un ruolo fondamentale nell’economia sociale. È per questo che avete fatto questo investimento accademico?
Nelle intenzioni di fondo, esattamente come dice lei, noi consideriamo il pezzo settore non come un “elemento aggiunto” o un “fratello minore” delle altre leve della società, del mercato e dell’organizzazione della vita pubblica. Abbiamo investito il crescente bisogno di protagonismo della comunità e dei legami sociali: senza togliere nulla allo stato e al mercato, ci rendiamo sempre più conto che dobbiamo recuperare quella dimensione di fraternità, di legame, di dono, di gratuità che porta a superare “l’antropologia dello scarto”, come la chiama papa Francesco. L’individualismo moderno, che in qualche modo è alla base dei modelli sociali prevalenti, ha prodotto molta libertà e maggiore eguaglianza ma con prezzi sociali molto alti, quindi si tratta di recuperare una visione del sociale come la vera leva innovativa che non è marginale, destinata solo “a chi vuole fare un po’ di bene”. Il Terzo settore “abita” questo mondo, la svolta legislativa offre opportunità che però richiedono nuovi adempimenti per cui se non ci si porta ad un livello culturale alla pari rispetto alle richieste della svolta legislativa si perdono occasioni importanti.
Le competenze per il riequilibrio, insomma…
Esatto. Dobbiamo preparare persone che siano all’altezza di una visione strategica del Terzo settore e non soltanto della realizzazione di progetti, che pur è un aspetto che richiede delle competenze specifiche che vanno date. Oggi serve una capacità di visione di programmazione e co-programmazione.
Qual è la visione strategica del Terzo settore di un’università pontificia?
Noi non vogliamo mettere un marchio confessionale sul mondo del Terzo settore, ma pensiamo sia necessario nutrire la pratica di questo mondo con una tradizione di pensiero cristiana e una tradizione pratica nel rapporto con questo mondo e con i giovani. Tutto quello che contribuisce a una socialità, tutto quello che contribuisce alla “visione preventiva” dei problemi sociali è la nostra spinta, la nostra energia.
Secondo lei quando potremmo definire “maturo” il ruolo del Terzo settore all’interno della nostra società? Parlo anche del “ruolo politico” che esso dovrebbe avere…
Quando il Terzo settore riuscirà a fare da perno nell’evoluzione del cambiamento culturale, politico e anche economico perché illustri e renda persuasivo il valore aggiunto che ha.
La vostra offerta formativa punterà in questa direzione, allora?
Sì, la nostra proposta è un curricolo formativo innovativo non soltanto nel merito culturale, ma anche nella modalità dell’organizzazione del sapere universitario. Proprio la natura complessa del Terzo settore fa sì che, a livello accademico, un tema come questo possa essere affrontato solo in un’ottica interdisciplinare che è realmente “il domani” dell’università che, a mio avviso, oggi soffre troppo perché sta diventando una cittadella di specializzazioni separate che forma persone estremamente preparate in una “tesserina” ma che poi non sanno inserirla in una visione globale, collaborativa, tipica di una società complessa. Il nostro laureato saprà lavorare rispendendo alle nuove competenze culturali che ci devono servire a portare il Terzo settore al livello di operatori e di dirigenti.
Dott. Langella, nell’offerta formativa date rilievo anche alla comunicazione. Il Terzo settore ne ha bisogno, secondo lei?
Il Terzo settore attualmente non sempre comunica in maniera opportuna. Oggi si fanno solo dei piccoli corsi mirati, ma l’operatore del Terzo settore non sa gestire una realtà complessa e questo anche nel campo della comunicazione. Servono competenze anche in questo, serve la capacità di scegliere gli strumenti giusti oltre che l’espressione giusta.
A chi vi rivolgete?
Il primo pubblico è quello dei ragazzi che escono dal liceo e dalla scuola superiore e che desiderano investire i propri anni di studio verso l’economia sociale, quindi dedicarsi ai settori che negli anni a venire saranno tra i pochi che in futuro offriranno delle opportunità di lavoro. Per loro, come dicevamo prima, abbiamo previsto un percorso che parte dall’ambito disciplinare umanistico-filosofico ma che arriva fino all’ambito economico, giuridico e finanziario, proprio perché puntiamo ad una formazione multidisciplinare.
Il secondo pubblico sono i professionisti che già operano nel Terzo settore e che vogliono completare il proprio percorso di preparazione: a quelli che hanno già una laurea, riconosceremo gli studi fatti perché si iscrivano alla nostra laurea magistrale.
L’accesso è a numero programmato?
No, numero apertissimo.
Costi?
Tasse accademiche volutamente basse: 2.500 euro l’anno con possibilità, per chi ha Isee bassi, di accedere a borse di studio proprio perché vogliamo che questa formazione sia accessibile a tutti.
Frequenza obbligatoria? Housing? Siamo a Roma e i costi per i fuori sede sono elevatissimi…
Abbiamo una nostra struttura di riferimento che fa parte sempre dell’insieme della nostra università, che dista da qui due-tre chilometri, e che ha possibilità di affittare delle camere a un prezzo estremamente popolare. Inoltre le lezioni sono concentrate il giovedì, venerdì e sabato mattina, che non è stata un’impresa facile!
Parliamo di placement: avete fatto delle proiezioni per i vostri laureati?
Il Terzo settore si sta sviluppando in maniera importante. Tutte le grandi aziende, oltre alle piccole realtà territoriali, stanno sviluppando il loro ramo di welfare, assistenza sociale, bilancio sociale. Il nostro percorso di studi è studiato in linea con quello che richiede anche lo stato italiano in tema di economia, non a caso lo abbiamo omologato con le classi di laurea delle università italiane.
Il titolo è riconosciuto, vero?
In Italia non c’è un titolo uguale. Quindi è altamente spendibile. È in corso un tavolo tecnico tra Stato italiano e lo Stato pontificio che ha l’obiettivo di portare all’equivalenza dei titoli.
Internazionalizzazione?
Come lei sa, le università pontificie sono un po’ messe a margine, su questo. Però poiché avremo argomenti di carattere internazionale come ad esempio tutto il tema delle Ong, stiamo dialogando con i referenti di Erasmus plus perché abbiamo tante richieste da università europee che aderiscono. D’altra parte noi abbiamo la rete delle università internazionali salesiane con cui abbiamo iniziato già un interessante dialogo di scambio di informazioni per organizzare una sorta di Erasmus tra di noi.
Come selezionate i docenti?
Alcuni sono già docenti di Unisalesiana e ci saranno docenti provenienti da tutte le realtà con le quali abbiamo costruito da due anni questo percorso.
I colloqui di ammissione sono ancora possibili il 26 settembre 2023.
Punto di forza di questa sfida è la visione “olistica” del tema sociale e culturale. Punto di possibile debolezza è che un percorso di studi così ambizioso non riesca a “contaminarsi” con le migliori esperienze accademiche italiane ed apparire un luogo formativo troppo “di nicchia”, riservato ad un pubblico di specialisti. Staremo a vedere lungo il percorso.
le foto sono di Unisalesiana, gentilmente concesse a VITA per questo articolo
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