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Europa

L’Unione europea? È un vaso di coccio tra vasi di ferro

Fra i 4 grandi attori globali l’Europa passa come la superpotenza gentile che non minaccia ma cerca di intervenire nelle aree di crisi attraverso incentivi e sanzioni, approfondimento o riduzione delle relazioni, inclusione o esclusione. Non si può pretendere dall'Unione quello che l'Unione non può fare. Spetta ai cittadini europei decidere cosa fare di una casa comune che ha bisogno di una ristrutturazione urgente. Osservando quello che accade intorno, però, anche questa casa non è poi così male.   

di Paolo Bergamaschi

Ucraina, Kosovo, Nagorno Karabakh e, da ultimo, Israele ci ricordano, purtroppo, di quanto sia instabile la situazione alle porte dell’Unione europea. L’Ue è nata come progetto di pace in risposta a secoli di guerre e di aggressioni scatenate dal cieco egoismo nazionalista. Per più settant’anni è riuscita a garantire prosperità e stabilità a chi ne fa parte attraverso politiche efficaci di integrazione, e condivisione. L’improvviso crollo del muro di Berlino nel 1989 non ci ha trovato impreparati e grazie ad un opportuno processo di allargamento nel giro di quindici anni si è arrivati alla riunificazione del vecchio continente. Con l’Unione a 27 membri la sfida successiva è stata quella di proiettare pace, sicurezza e stabilità anche nella fascia dei paesi vicini. Nasce, così, nel 2004 la Politica di Vicinato Europea che, però, alla luce di quanto sta avvenendo si dimostra inadeguata o non all’altezza delle aspettative. Quello che avrebbe dovuto essere un cerchio di amici si è trasformato, di fatto, in un cerchio di fuoco. È qui che l’Ue mostra tutti i suoi limiti. In primo luogo non è possibile agire tempestivamente sulla scena internazionale con i meccanismi decisionali attuali; la politica estera comune, infatti, è ancora vincolata alla regola dell’unanimità. In secondo luogo risulta difficile, se non impossibile, produrre un’azione esterna efficace senza mezzi di coercizione.

L’Europa non ha e, forse, non avrà mai un esercito anche se da vent’anni sta cercando faticosamente di dotarsi di una propria politica di sicurezza e difesa comune. La reputazione internazionale dell’Ue sta nel suo “soft power”, che rappresenta quasi un marchio di fabbrica. Fra i quattro grandi attori globali l’Europa passa come la superpotenza gentile che non minaccia ma cerca di intervenire nelle aree di crisi attraverso incentivi e sanzioni, approfondimento o riduzione delle relazioni, inclusione o esclusione. Non si può pretendere dall’Unione, anche se molti lo fanno specialmente in Italia, quello che l’Unione non può fare. È grazie alla diplomazia europea, in particolare a  François Hollande e Angela Merkel, se nel 2015 l’allora presidente ucraino Petro Poroshenko e l’autocrate russo Vladimir Putin hanno sottoscritto gli accordi di Minsk che avrebbero dovuto mettere fine alla crisi nel Donbass. Poi, però, l’Europa non ha avuto né la forza né i mezzi per farli rispettare. È grazie all’energica azione diplomatica europea, rappresentata da Josep Borrell, se nel marzo di quest’anno Kosovo e Serbia hanno raggiunto a Ohrid uno storico accordo per la normalizzazione delle relazioni. Poi, tuttavia, poco o nulla è stato fatto dalle due parti per metterlo in pratica con una tensione permanente sul terreno che rigurgita ciclicamente sussulti di violenza. È stato grazie alla diplomazia europea, in particolare al presidente del Consiglio Charles Michel se nel dicembre del 2021 si è svolto a Bruxelles l’incontro fra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev, cui hanno fatto seguito altri faccia a faccia, per cominciare a discutere di un trattato di pace che mettesse fine alla guerra trentennale per il Nagorno Karabakh. Poi però, abbiamo visto come è finita con l’Azerbaigian che ha scelto l’opzione militare, con il tacito consenso del contingente russo, quando la soluzione politica sembrava, ormai, a portata di mano. È stato grazie ai generosi fondi europei se l’Autorità Nazionale Palestinese in questi anni è riuscita a stare in piedi e agli aiuti umanitari di Bruxelles se la popolazione palestinese è riuscita a sopravvivere all’occupazione con Israele che ha sempre rifiutato ogni mediazione europea nel conflitto giudicandola sbilanciata verso la parte araba.

Si sarebbe potuto fare di più e meglio? Certo, alla luce dei risultati insoddisfacenti si doveva fare di più e meglio ma teniamo nella giusta considerazione il rapporto tra mezzi e obiettivi con i primi che non corrispondono alle ambizioni dei secondi. Rispetto alle altre superpotenze, Cina, Russia e Usa, l’Unione europea figura come il classico vaso di coccio tra i vasi di ferro.

Spetta ai cittadini europei decidere cosa fare di una casa comune che ha bisogno di una ristrutturazione urgente. Osservando quello che accade intorno, però, anche questa casa non è poi così male.   


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