Famiglia

L’ultimo saluto di Milano a Giovanni Raboni

Questa mattina, nella basilica di Sant'Ambrogio a Milano i funerali di Giovanni Raboni. Lo sfogo di Moni Ovadia: "Milano non ha saputo capirlo"

di Selena Delfino

In quattrocento in Sant’Ambrogio, tutti a sedere nella basilica, hanno salutato stamani il poeta milanese Giovanni Raboni, scomparso giovedi’ a Parma dove era da tempo ricoverato. La Milano istituzionale e’ in prima fila. C’e’ il sindaco Gabriele Albertini, il presidente della Provincia Filippo Penati e il prefetto Bruno Ferrante. Uno accanto all’altro, seduti in prima fila, sulla sinistra. A destra i familiari di Raboni. La compagna poetessa Patrizia Valduga, i figli, i nipoti che cedono al pianto solo seguendo il feretro, a cerimonia funebre conclusa, che ha portato Raboni al cimitero Monumentale, nel Famedio inferiore, dove riposano Guido Crepax, Giorgio Gaber, Antonio Maspes. ”La semplicita’ dell’uomo, il suo essere onesto con la civilta’, con qualunque cosa incontrasse -ha detto officiando la messa monsignor Erminio De Scalzi- cosi’ come la religione”. E ricorda un’intervista, ”anni fa nella quale spiegava di essere un laico ma non un ateo; rispettava il Vangelo, lo conosceva, solo li’, disse Giovanni, si puo’ trovare la parola di Dio”. In silenzio, dopo la fine della cerimonia funebre, i suoi amici se ne vanno. Per prima Alda Merini. Poi Moni Ovadia che dice : ”Con Giovanni io ho un debito inestimabile, mi ha cambiato la vita. Sono come un figlio che piange. Questa citta’ ha perso un non solo un infinito poeta, vero e grande, ma una delle sue rarissime voci civile. E purtroppo non e’ stata capace di apprezzarlo, anzi, basti pensare alla squallida storia del Piccolo Teatro, fatto fuori da politicanti, e lui in silenzio se n’e’ andato. Un’amministrazione che, da venti anni, ha fatto uno scempio di questa citta’. Siamo al quarto quinto posto nelle classifiche mondiali per economia e finanza ma all’ottantesimo per la cultura”. Si sfoga Ovadia. Se la prende con Milano. ”Incapace di valutare a pieno il gigante Raboni”, uno che, ricorda, ”era stato capace di tradurre Proust e l’italianista del quotidiano ‘Le Monde’ disse che la versione italiana era migliore dell’originale”. Oggi, dice, ”mi sento veramente orfano, ho pensato di andarmene da qui, andare via, ma questa citta’ e’ anche mia, ci vivo da 54 anni e non posso cedere, so che ci sono forze vive che sono in ombra ma che combattono, ci credono e spero riusciranno a cambiare le cose”. E poi, conclude, Milano ”deve molto a Giovanni, ci sono molte cose che potrebbero essere fatte vediamo se quest’amministrazione si limita al presenzialismo”.


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