Mondo

L’ultimatum di Bush: esilio in 48 ore o è guerra

Ecco il contenuto del discorso del presidente, pronunciato alle due di questa notte (ora italiana). Quindici minuti di parole dure che avvicinano la guerra

di Gabriella Meroni

Saddam Hussein deve lasciare l’Iraq e il potere, con i suoi figli e i suoi accoliti, entro 48 ore. Altrimenti, sarà guerra ”nel momento che sceglieremo noi”: per gli iracheni, ”l’ora della liberazione è vicina”. Questo, in sintesi, è l’ultimatum che il presidente americano George W. Bush dà al dittatore iracheno, dieci ore dopo dopo che Stati Uniti, Gran Bretagna e Spagna avevano ritirato la risoluzione sull’uso della forza per disarmare l’Iraq presentata al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. In Kuwait e nel Golfo, circa 250 mila soldati americani accerchiano l’Iraq: aspettano l’ordine di attacco del comandante in capo, il presidente Bush, che potrà venire in qualsiasi momento dal 20 marzo. L’invasione scatterà dopo un uragano di bombe e missili che durerà due giorni. Alla possibilità che Saddam se ne vada davvero nessuno crede. La crisi con l’Iraq, trascinatasi per oltre sei mesi, tra speranze di pace sempre più flebili e tuoni di guerra sempre più forti, precipita nel giro di poche ore, in quello che Bush aveva definitivo ”il giorno della verità”: un momento cruciale senza reale alternativa al conflitto, o lo decidevano le Nazioni Unite, o lo decidono gli Stati Uniti. Dal Vertice delle Azzorre dei Paesi più inclini all’uso della forza per disarmare l’Iraq era infatti uscita un’indicazione univoca: o l’Onu fissava una scadenza all’Iraq perché disarmi a brevissimo termine, o venga disarmato dalla comunità internazionale; oppure, gli Stati Uniti guideranno una ”coalizione dei volenterosi” che affida la legittimità dell’azione militare alla risoluzione 1441 approvata all’unanimità l’8 novembre. ”Ho il potere di usare la forza”, ha detto Bush, parlando all’America e al Mondo dalla Casa Bianca. Un’interpretazione che è contestata dal segretario generale dell’Onu Kofi Annan: l’uso della forza, non avallato dal Consiglio, ”è discutibile” e la sua legittimità internazionale è ”fortemente indebolita”. Il ritiro della risoluzione significa che Stati Uniti, Gran Bretagna e Spagna considerano ”chiusa” la finestra diplomatica per risolvere la crisi irachena: la Casa Bianca lo dice in modo esplicito. Nel suo discorso, Bush insiste: ”Per Saddam, è troppo tardi per conservare il potere”, non c’è più spazio per dilazioni e negoziati. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu tira le somme di quanto sta avvenendo: avalla la decisione di Annan di ordinare agli ispettori e al personale delle organizzazioni umanitarie di lasciare l’Iraq, mentre, in tutto il Golfo, è in atto la Grande Fuga di diplomatici e cittadini occidentali: si chiudono ambasciate e consolati, ovunque si riduce il personale al minimo. Ancora prima di cominciare, il conflitto ha già innescato tragedie umanitarie: le Nazioni Unite sospendono il programma petrolio in cambio di cibo, perché tutto il personale che lo gestisce lascia l’Iraq. Baghdad perde l’unica fonte di valuta per acquistare viveri e medicinali. Il segretario di Stato americano Colin Powell esprime la fiducia che le Nazioni Unite ”sopravviveranno”, pur se non hanno ”superato questo test”. Ma al Palazzo di Vetro dell’Onu c’è confusione: la presidenza di turno del Consiglio,affidata alla Guinea, convoca, su richiesta dei Paesi della linea del no all’uso della forza, una riunione a livello di ministri degli esteri. L’incontro si svolgerà domani: discuterà il programma di lavoro degli ispettori, che, nel frattempo, avranno lasciato Baghdad. Un tocco surreale, in un quadro a tinte fosche. Cui si aggiunge la paura di colpi di coda terroristici, negli Stati Uniti e non solo: mentre il presidente parla, l’Amministrazione alza da giallo ad arancione il semaforo dell’allarme attentati, che è ora ”alto”. L’America è di nuovo sul piede di guerra, sul fronte internazionale e su quello interno.


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