Mondo

L’ultima ricetta del dottor Obama

Le grandi assicurazioni non mollano i privilegi. E allo la Casa Bianca...

di Alessandra Marseglia

Come pagare l’assicurazione dei 46 milioni di americani
che oggi non hanno nessuna copertura? Il presidente gioca
a sorpresa la carta delle cooperative È da più di 75 anni, cioè dall’epoca del “new deal” di Franklin Delano Roosevelt, che i democratici americani sognano di riformare il sistema sanitario. Con l’elezione di Barack Obama il sogno sembra ad un passo dal diventare realtà. Dopo una martellante campagna politica e mediatica, rimbalzando tra eventi mondani e meeting istituzionali, e dribblando con maestria anche dure contestazioni, il presidente può dire di aver convinto la gran parte dell’opinione pubblica sul bisogno impellente di una riforma del sistema sanitario. Perfino i repubblicani sembrano concordare su una serie di misure, come il contenimento dei costi amministrativi di Medicaid e Medicare e l’introduzione di forti limitazioni allo strapotere delle compagnie assicurative.
Tuttavia, il nodo centrale della riforma sul quale, come prevedibile, democratici e repubblicani non trovano un accordo è la copertura medica per tutti i cittadini, indipendentemente dal reddito. Per realizzare questo progetto la proposta più ovvia avanzata da Obama e dai suoi è da sempre stata l’introduzione di un’offerta pubblica: il governo americano, tramite la propria rete di medici associati a Medicaid e Medicare, avrebbe messo sul mercato un’offerta sanitaria alternativa e concorrenziale a quelle delle compagnie assicurative, con l’obiettivo di rilanciare il mercato e stimolare un ribasso dei prezzi.
La proposta è naturalmente stata presto bollata come “socialista” dall’opposizione che ha lanciato l’allarme di una sanità lenta e inefficiente. Ma quel che più conta, in questi ultimi giorni che precedono l’approvazione della legge al Senato, è che una parte dell’eterogenea famiglia dei senatori democratici ha condiviso l’ostilità dei repubblicani. Il rischio per Obama è dunque la perdita della già risicata maggioranza al Senato che gli costerebbe il naufragio della riforma sanitaria.
La corsa ai ripari è cominciata qualche settimana fa. Il presidente e il segretario alla Sanità, Kathleen Sebelius si sono coordinati per attaccare su due diversi fronti. Obama, nell’ultimo speech prima della pausa estiva, ha sminuito il valore di un’offerta pubblica che, a suo dire, «non sarà il cuore centrale della riforma». Nelle stesse ore la Sebelius, in un’intervista alla Cnn, introduceva un’ipotesi mai discussa prima: il governo potrebbe non gestire direttamente l’offerta sanitaria ma piuttosto affidarla a cooperative mediche, sostenute da fondi pubblici solo nella fase di start up (dai 4 ai 6 miliardi secondo una prima stima), e poi capaci di operare da sole.
La notizia ha assunto presto la connotazione di una “breaking news”, non confermata dalla Casa Bianca – che per ora parla solo di un’ipotesi tra le tante – ma non per questo meno d’impatto. La cautela nasconde un chiaro rischio: la soluzione delle coop mediche potrebbe imbarcare alcuni consensi tra i repubblicani e i democratici moderati ma anche alienarsi il favore del lato più liberal del partito di Obama.
Ma davvero le cooperative mediche funzionerebbero meglio dell’offerta pubblica? I sostenitori della nuova ipotesi, capeggiati dal senatore Kent Conrad del Nord Dakota evidenziano le virtù del progetto, che avrebbe il merito di essere privato ma gestito direttamente dai suoi soci-utenti. La spietata logica del profitto, secondo Conrad e i suoi, passerebbe in secondo piano, e piuttosto che accumulare utili, le cooperative penseranno ad abbassare i premi; oltretutto, il solo contenimento degli stipendi di amministratori delegati e top manager porterebbe ad un netto risparmio sui costi di gestione.
Il partito dell’opposizione all’ipotesi cooperativa è per lo più composto dagli scettici sulla possibilità che un sistema così strutturato possa realmente cambiare la realtà delle cose. Secondo una stima degli esperti, per essere finanziariamente operative le cooperative dovrebbero essere in grado di reclutare un minimo di 25mila membri ma il numero sale a 500mila se si tratta di riuscire a negoziare in maniera efficace i prezzi dei servizi con i medici e le strutture, la maggior parte dei quali sono già sotto contratto con le compagnie assicurative.
In realtà le cooperative non sono un sistema nuovo negli Usa. Tra il 1930 e il 1940 la Farm Security Administration incoraggiò, con incentivi economici, lo sviluppo di cooperative mediche che crebbero fino a coinvolgere oltre 600mila famiglie contadine a medio/basso reddito. Si trattava però per lo più di strutture piccole e poco capitalizzate che furono spazzate via dall’avvento della prima crisi e dalla fine del sostentamento pubblico. Sopravvissero in poche, tra le quali solo Group Health nello Stato di Washington e Health Partners in Minnesota sono operative ancora oggi, entrambe in buone condizioni di mercato ma, secondo alcuni analisti, con un’offerta che non si discosta di molto da quella delle assicurazioni private.

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