L’ultima nuvola sui cieli d’Italia. Addio a Lucio Quarantotto

di Marco Dotti

«E se questa fosse l’ultima nuvola sui cieli d’Italia?». Erano gli anni Ottanta e Lucio Quarantotto era arrivato così, timido, intelligente, al tempo stesso irriverente dinanzi a chi non aveva orecchie per intendere, e non le avrebbe avute mai. Era arrivato troppo tardi per farsi capire da un mondo in declino, troppo presto per farsi accettare da un mondo che, tra yuppies, idioti cum laude, tigri asiatiche e de’ noantri, coltivava il declino come sua intima e ultima risorsa. Aveva capito tutto, Lucio, anche quello che non si può capire. 

Poi vennero i successi, per voce altrui, canzoni per tutti, alcune famosissime (Bocelli, Con te partirò, e via discorrendo). «Adesso ha fatto i soldi, si è sistemato», dicevano. Invece per Lucio i soldi non erano tutto, non erano nemmeno poco, erano niente.

Uno può amare o meno le sue canzoni, ma questo ci sta, è il destino di tutto, canzoni comprese. Ma non può dire «era depresso», come scrive il Corriere.it (leggi qui). Tanto dietro un suicidio, per la psicologia d’accatto dei nostri giorni, c’è sempre un depresso, un gene che non va,  un enzima che sballa, un neurone che salta. Puttanate. 

Per me, per noi, Lucio era un amico. Di quelli incontrati una, due, tre volte e che non poi vedi da anni, che non ti chiamano mai e che non chiami mai, ma che in qualche modo ci sono stati, e quindi ci sono. 

Tre album, un quarto da tempo atteso, molte canzoni, arrangiamenti, il lavoro con Caterina Caselli e Franco Battiato.  Dei testi del suo secondo disco, uscito nel 1986, Roberto Roversi – uno dei pochi poeti a resistere, in questa penisola di codardi e di codarde – scriveva che erano «scavati fino all’osso, sempre detti-cantati con con magica lentezza….per la preoccupazione di fare arrivare parola dietro parola». Già. proprio così.  «Ero nella mia città, alzai il telefono e dissi: “avete per caso il disco di uno che si dice Quarantotto?” “No, ma lo conosciamo bene, è quello matto”. Allora mi guardai allo specchio e dissi: “Sono matto perché piove? Matto perché piove forte?», cantava in Tripoli, una delle sue canzoni più belle (per ascoltarla → clicca qui )

Lucio Quarantotto si è buttato dalla finestra del suo appartamento di Mestre, martedì 31 luglio, in pieno giorno. «Balla, non fermarti», diceva in E se questa fosse l’ultima (per ascoltarla → clicca qui ). «Balla, anche se questa fosse l’ultima notte del mondo». Balleremo, Lucio. Balleremo davvero, anche se questo fosse l’ultimo treno che passa. Anche se questa fosse davvero l’ultima notte del mondo. 

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