Volontariato

L’ultima moda: dagli all’albanese

Dodicimila profughi sono un fardello scomodo. Per questo il governo li caccia. Ma chi li ha aiutati davvero si oppone. Parlano i volontari che hanno gestito l'accoglienza

di Cristina Giudici

Si scrive rimpatrio assistito e si legge si salvi chi può. È il tentativo maldestro del governo italiano di risolvere l?emergenza albanesi che dura dal marzo scorso, da quando cioè nel paese delle Aquile il crollo delle finanziarie piramidali ha dato inizio alla guerra civile. Oggi nessuno sembra più disposto a difendere i 12 mila profughi. Con la dovuta eccezione dei volontari che in questi cinque mesi hanno mosso mare e terra per aiutarli a sopravvivere. Vinicio Russo, presidente del Ctm Movimondo, l?ong leccese che nei giorni dell?emergenza ha organizzato un blitz per salvare 48 profughi e poi spontaneamente ha allestito un centro di accoglienza non nasconde la sua amarezza: «Quando l?Albania sembrava sull?orlo della guerra civile il governo ha stanziato 20 miliardi di lire destinati alla ricostruzione del paese, ma oggi pensa solo a rigettarli in mare». Oggi infatti nei campi profughi allestiti dalle diocesi e dalle associazioni di volontariato pugliesi ne risultano assenti 7000 mentre altri 3000 aspettano senza potere fare altro che sperare in un gesto della divina provvidenza per evitare il rimpatrio forzato. Dopo il 31 agosto infatti, gli incentivi di 300 mila lire e 150 per i bambini ( a luglio erano di 500mila) per favorire il rientro cesseranno e tutti i profughi che hanno avuto un permesso provvisorio dal ministero degli Interni diventeranno a tutti gli effetti dei clandestini. Ma nonostante le polemiche che hanno gettato fuoco sulla benzina dello scottante tema dell?immigrazione, quello dell?espulsione degli albanesi non sembra un piano di facile realizzazione. Innanzi tutto perché a sentire i volontari dei centri di accoglienza è vero che i profughi muniti di permesso provvisorio hanno abbandonato i campi, ma lo hanno fatto per potersi cercare un lavoro e non per unirsi al racket della prostituzione e del narcotraffico. E ora questa gente non ha nessuna intenzione di tornare a casa. «Dietro di loro hanno alle spalle solo terra bruciata», spiega Russo. «Non sono disposti ad accettare le 300mila lire né tanto meno il rimpatrio. Sono andati presso amici, parenti e conoscenti per cercare di ricominciare da capo. Dal governo aspettiamo ancora la retta di marzo delle diarie di 3Omila lire, abbiamo fatto tutto da soli. Da noi è rimasta solo una famiglia e un ragazzo di quindici anni. Un altro ragazzo orfano è stato affidato alla vicepresidente di Movimondo, Leanna Totaro». L?impotenza regna anche fra i volontari della Caritas di Brindisi che da cinque mesi assistono i 130 profughi alloggiati nella caserma Carafa. «Da noi solo in pochi sono riusciti a scappare» dice la responsabile della casa di accoglienza della Caritas Maria Antonietta Botrugno. «Temiamo che possano esserci alcuni episodi incresciosi perché nessuno di loro vuole tornare a casa. È il cane che si morde la coda, non hanno potuto ottenere un lavoro perché non hanno un permesso di soggiorno, non hanno potuto avere un permesso di soggiorno perché non hanno un lavoro e noi non possiamo fare niente». Alla Caritas di Otranto non è rimasto più nessuno: «Non volevano continuare a essere reclusi nei campi profughi», dice don Colavero, presidente della Caritas, «desideravano lavorare per ricostruire la propria esistenza». Cosa succederà ora? «Chi potrà cercherà di resistere e si nasconderà», dice Russo. «I più disperati, coloro che sono rimasti nei campi, saranno obbligati ad andarsene». Intanto i volontari cercano di evitare l?inevitabile e accorciare i tempi dei progetti dell?Ue e dell?Unicef , ma il conto alla rovescia è iniziato. E la realtà è sotto gli occhi di tutti: albanesi go home, qui non vi vogliamo.


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