Cultura

L’ultima lectio magistralis del professor Serianni

Un’ex studentessa della facoltà di Lettere alla Sapienza racconta l'addio al professor Serianni rievocando l’ultima lezione del giugno del 2017 che «andrebbe fatta leggere a chi inizia a lavorare come professore, come a un medico il giuramento d’Ippocrate», tenuta nella stessa Aula in cui è stata allestita la camera ardente

di Agnese Palmucci

«Sembra di stare a lezione, quando non c’era posto neanche se arrivavi in anticipo», dice qualche studente commosso uscendo dall’Aula I di Lettere. Dentro ci sono giovani, vecchi alunni, colleghi, personale dell’Università. Sopra la grande lavagna verde, una foto del professore, con la dedica: «La tua Sapienza ti saluta». Se non fosse per la bara di legno, sobria e non invadente, come era lui, potrebbe tornare alla mente il 14 giugno di cinque anni fa, quando nella stessa Aula, ora camera ardente, Luca Serianni tenne la sua ultima lezione prima del congedo. E no, non c’era posto neanche in piedi quel pomeriggio. Per l’occasione aveva scelto di parlare dell’insegnamento della lingua italiana, ma in realtà fece molto di più. Come sempre. Ecco, da una che ha finito l’Università solo da qualche anno, credo che quella lectio magistralis andrebbe fatta leggere a chi inizia a lavorare come professore, come a un medico il giuramento d’Ippocrate.

Quel caldo giorno di giugno eravamo tutti in piena sessione d’esame, e qualcuno, come me, a meno di un mese dalla discussione di laurea. Sono una dei tantissimi studenti di Lettere che, per qualche ragione, non hanno imparato la Storia della lingua e la Linguistica in aula con Serianni, ma comunque da uno dei suoi più brillanti allievi. Per essere abbracciati da quell’impulso a capirne di più, a volare alto nella ricerca senza mai arrendersi alla superficie tuttavia, bastava che capitasse di salire le grandi scale di facoltà, lentamente, accanto a lui. Si arrivava al piano successivo respirando l’autentica umiltà dei grandi. Capitava anche di aspettare il tram sulla stessa banchina, a San Lorenzo, di vederlo salire con la sua valigetta in mano, e poi perdersi tra i passeggeri. Come uno qualunque, che non è mai stato. E osservarlo mentre guardava ciò che gli accadeva attorno, gli uomini e le donne, senza mai giudicare.

Eravamo in tanti quel 14 giugno 2017, ad ascoltare l’ultima lezione di Serianni schiacciati sulle pareti dell’Aula I, con i piedi che non toccavano del tutto terra, per la folla. «Insegnare è soprattutto trasmettere un certo modo di vedere le cose, da una generazione all’altra», esordì, citando i suoi maestri, tra cui il grande linguista Arrigo Castellani, che ha inciso «profondamente» nella sua formazione. Dai maestri che hanno reso più chiara la strada, ai suoi tantissimi allievi, di cui disse: «Il merito non va a me, ma alle loro capacità». I maestri, dunque, «assolvono i loro compiti se si limitano a riconoscere i talenti e a valorizzarli, senza coartare in nessun senso le rispettive inclinazioni di studio».
Poi il passaggio sugli esami, tanto temuti, che a noi toccò il cuore: «Sono un momento fondamentale, non solo per lo studente, ma anche per il docente che verifica proprio durante gli esami se ha combinato qualcosa di buono durante il corso». Dai racconti dei colleghi, infatti, nessuno nel suo piccolo ufficio al secondo piano veniva mai umiliato, perché di uno studente, diceva, non si dovrebbe mai parlare male. Sempre da loro, il ricordo del modo che aveva di correggere i compiti scritti: penne rosse e blu per segnalare la gravità degli errori, e una penna verde, per fare una carezza a chi aveva avuto buone intuizioni. Insomma, chi ha scelto l’insegnamento ha «scommesso sui propri scolari, e in generale sui giovani, sulla loro capacità di apprendere quale che sia il punto di partenza» e «non può prendersi il lusso di essere pessimista».

Ieri però, a parlare non è stato Serianni. Ma i tanti studenti e colleghi che gli devono la Passione. «Non posso credere che lo abbiamo perso, mi sembra impossibile», commentano in tanti sottovoce, ricordando la sua profonda gentilezza, il suo garbo, la sua acutissima intelligenza. La sua gioia di stare accanto ai giovani, l’enorme forza maieutica. E l’applauso senza fine, ha ricordato quello spontaneo che chiuse l’ultima lezione del linguista. «Proprio ai miei studenti di quest’anno – disse in quel frangente, prima di ripiegare i fogli del suo discorso – ho ricordato il secondo comma dell’articolo 54 della Costituzione, che mi piace interpretare andando oltre la lettera, e ho chiesto loro: Sapete cosa rappresentate per me? Immagino che non lo sappiate. Voi rappresentate lo Stato».

Insomma dopo quei cinque anni di studi così emotivamente carichi e formativamente straordinari a Lettere, con maestri come Serianni, molti dei miei amici hanno sentito questa vocazione. Una chiamata a cercare di essere maestri come lui, per la fortuna di altre migliaia di studenti. Anche qui, la mia strada è stata diversa, ma Serianni in qualche modo, per il solo esserci, con quella fama “paterna” che lo precedeva, ha contribuito senza saperlo a renderla più chiara. Come fanno i Maestri. E i Maestri non si perdono mai.

Luca Serianni è stato uno dei più importanti ed influenti linguisti e filologi italiani, con numerosissime pubblicazioni che hanno fatto scuola. Dopo incarichi alle Università di Siena, L’Aquila e Messina, dal 1980 è stato professore ordinario a La Sapienza di Roma, fino al 2017. Anche da professore emerito, però, non ha mai fermato le sue attività di ricerca e insegnamento.

In apertura foto di Ag. Sintesi

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