Economia
Lula lascia un Brasile dai ritmi cinesi
A due settimane dal voto che designerà il nuovo presidente
di Paolo Manzo
Una crescita galoppante che ricorda il nostro miracolo economico degli anni 60. Con in più un ruolo di ago
della bilancia nella geopolitica obamiana da San Paolo
830 jet privati che attraversano in lungo e in largo ogni giorno i suoi cieli. Decine di concessionarie autorizzate che solo lo scorso anno hanno registrato la maggior vendita di Ferrari. Ben quattro negozi di Tiffany e tre di Bulgari – non c’è un caso simile in tutto il pianeta – senza contare che nel 2009 il fatturato più alto la Louis Vuitton l’ha fatto proprio qui. No, non è degli Emirati Arabi che stiamo parlando ma del Brasile, nel caso specifico della sua capitale finanziaria, la megalopoli San Paolo, 20 milioni di abitanti. Ma lo scenario non è poi così difforme da altre grandi città del Paese, come per esempio la splendida Rio, con i suoi appartamenti con vista su Copacabana in vendita a cifre stratosferiche. Qui la crisi economica che tante stragi ha fatto nella Vecchia Europa e, soprattutto, negli Stati Uniti, non c’è praticamente stata. Quest’anno il Pil verde-oro crescerà almeno del 7% ed è proprio da questi dati che bisogna partire per capire perché, ad esempio, l’Olimpiade 2016 sia stata assegnata al Brasile.
Certo, in Brasile ci sono ancora molti poveri – 35 milioni su una popolazione di 200 – ma per la prima a loro va un sussidio che gli permette di aumentare i consumi con un accesso al credito mai così facile come adesso. Negli ultimi tre mesi, infatti, proprio i crediti concessi dalle banche sono cresciuti del 14% rispetto al trimestre precedente e il Pil del 2010 prevede aumenti “cinesi”. Una panacea anche per molte industrie italiane che proprio dal gigante sudamericano traggono la maggior parte dei profitti. Basti pensare alla Fiat, che ha in Brasile il suo primo mercato al mondo, con una crescita esponenziale favorita dalle recenti misure del governo Lula tra cui una tassazione zero per gli utili reinvestiti.
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