Welfare

Luigino contro tutti

di Flaviano Zandonai

Non è stato tenero Luigino Bruni, economista civile, nei confronti delle cooperative sociali. Tanto che Famiglia Cristiana, che lo ha intervistato, ci ha fatto titolo: “Ma dove sono le cooperative sociali”. Bruni le ha chiamate in causa per la loro scarsa capacità di cogliere i mutamenti nel welfare socioassistenziale, ovvero del loro più importante ambito di intervento. Anzi, il bersaglio è ancora più preciso perché riguarda le cure domiciliari delle persone anziane, il vero e proprio core business di queste imprese. Eppure, sostiene Bruni, sono state alla finestra e non si sono accorte, o non sono state in grado di intervenire, rispetto a una quota crescente di bisogni insoddisfatti. E così i beneficiari – gli anziani e le loro famiglie – hanno fatto da sé e hanno autorganizzato il mercato del lavoro transnazionale del badantato.

L’intervista è rimbalzata anche nei social network con qualche tweet piccato da parte di cooperative sociali e loro organizzazioni di rappresentanza. Reazione comprensibile, considerando il fatto che Luigino è parte attiva in processi formativi e in senso lato culturali promossi proprio da queste imprese. D’altro canto questa stessa reazione potrebbe essere spiegata col fatto che ha colto nel segno. Insomma non la solita provocazione annunciata che poi si riduce in un nulla di fatto.

Accettiamola dunque questa provocazione e proviamo ad argomentare. Perché la cooperazione, il principale costrutture di welfare sociale, è rimasta tagliata fuori da questo nuovo movimento bottom up che affermati studiosi dei sistemi di protezione sociale indicano come l’archetipo del neowelfare? Come sempre le ragioni sono molte. Si potrebbe iniziare dalla normativa, ad esempio, nonostante possa apparire una comoda via d’uscita per chiudere subito la questione. Però in effetti la legislazione che ha regolamentato ex post il fenomeno del badantato limita l’utilizzo dello strumento cooperativo per organizzare l’offerta delle assistenti domiciliari. Inoltre esistono problemi di conformazione del mercato e di discrimine di prezzo, anche nel caso in cui il lavoro delle badanti sia stato regolarizzato.

Via via che ci si sposta verso il modello di servizio le argomentazioni si fanno più interessanti. C’è qualcosa che non torna, infatti, nei meccanismi di agenzia adottati dalle quelle cooperative sociali che non sono state a guardare e hanno cercato di infrastrutturare una rete di servizi di assistenza domiciliare dove integrare l’offerta propria e del badantato. Offerta, vale la pena di ribadire, che diversa in termini sostanziali: architettura del servizio, contenuto della prestazione, modello di mercato, ecc. Il problema di fondo è che nel caso delle badanti il mutualismo non ha attecchito e ogni famiglia ha preferito costruirsi la propria rete di assistenza. Forse ha ragione la ricercatrice che ha svolto un bel lavoro sulla supply chain dei servizi di badantato (contributo che, ricordo, è disponibile su richiesta), dimostrando che i modelli esistenti, pur nella loro diversità, ruotano intorno alla figura della badante come realizzazione di un percorso di inclusione e poco guardano alla segmentazione dei bisogni delle famiglie, anche in termini di condivisione del servizio. Insomma tutto ha congiurato affinché si costruissero reti chiuse, un pò come accade con internet, rindondano il servizio e generando costi aggiuntivi. C’è voluto il terremoto, pare, per convincere i cittadini dell’Emilia a togliere le password per consentire a tutti di connettersi. Per questo serve un nuovo progetto di mutualità. Ed è curioso notare che è proprio su questi temi che il contributo di ricercatori come Luigino Bruni risulta più prezioso.

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