Ha scritto due imponenti monografie sul terzo presidente americano, il riformatore Thomas Jefferson (Il pensiero politico di Thomas Jefferson, Giuffrè, Milano, 2002; Thomas Jefferson. Un profilo intellettuale, Guida, Napoli, 2002), redatto, con William Stewart e Alessandro Vitale, un volume considerato fondamentale per la comprensione di un tema fin troppo frainteso in questi anni, il federalismo (I concetti del federalismo, Giuffrè, MIlano, 1995). Nato cinquanta anni fa negli Stati Uniti, allievo di Gianfranco Miglio, Luigi Marco Bassani è professore alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano, e ora candidato indipendente per il Consiglio regionale della Lombardia nelle liste di Fare. Fermare il declino, il movimento di Oscar Giannino.
Professor Bassani, l’Italia è veramente un posto strano se anche un libertario dichiarato come lei si butta nella mischia.
Luigi Marco Bassani: L’Italia è davvero un posto strano. Viviamo nel Paese più statalista della storia dell’umanità e non è un caso che si trovi a essere il Paese più tassato nella storia dell’umanità. Statalismo e tassazione – questa sì – selvaggia sono due cose che vanno di pari passo. Sento il dovere di dirlo e di fare qualcosa per portare avanti un’idea che sta diventando evidenza comune: così, con questi livelli di tassazione, non si può continuare. Non si può lavorare ma, fra un po’, non si potrà nemmeno più “non lavorare”: la tassazione è totale e a tendenza totalizzante. Mi sembrano considerazioni di un’evidenza elementare, dettate da ragionevolezza, non da ideologia. Ma per bollare queste idee, l’’Italia statalista ha inventato un’espressione unica nella storia del pensiero politico: “liberismo selvaggio”. Lo ha fatto sulla falsariga di quel “capitalismo interno” all’Urss che, negli anni Settanta del secolo scorso, divenne la principale ossessione di burocrati che già presagivano il crollo avvenuto nel 1989. Allo stesso modo, di fronte a questa crisi tutta creata dagli Stati i nostri burocrati rispondono che il problema è l’evasione fiscale. Ma i debiti sovrani chi li fa? Gli evasori o gli Stati? L’evasore fiscale diventa l’idealtipo dell’untore moderno, di colui che non “contribuisce”. Questo a dispetto anche dei tanto sbandierati numeri dell’evasione fiscale è palesemente falso.
Solitamente si ritiene che la Lombardia sia tra le regioni europee a più alto tasso di evasione fiscale. Non vorrà dichiararsi favorevole all’evasione…
Luigi Marco Bassani: Voglio rovesciare un’evidenza. E le dico subito, sull’evasione, che non è così. I Lombardi evadono poco. Conti alla mano, possiamo tranquillamente affermare che in Lombardia è del 12,85 per cento quindi molto più bassa che in Baviera. Consideriamo poi che in Calabria a evadere è l’85 per cento della popolazione. Se lo Stato intervenisse con la sua forza bruta per esigere il “dovuto”, dall’oggi al domani i calabresi diventerebbero più poveri degli abitanti della Corea del Nord. Crede sia un fatto auspicabile? A mio avviso no. Ma nemmeno il governo lo ritiene auspicabile, infatti non interviene. Si tratta di mantenere lo status quo, finché è possibile, dando un colpo al cerchio della tassazione da un lato e uno alla botte della retorica dall’altro.
Un tempo le avrei tranquillamente ribattuto che questo squilibrio tra livelli di tassazione, cifre dell’evasione e intervento autoritativo sul “nero” può essere giustificato in ragione della tenuta complessiva del sistema. Oggi, sinceramente, non so cosa ribatterle. Da un lato mi pare che lei abbia ragione, dall’altro vorrei non darle ragione.
Luigi Marco Bassani: Dobbiamo rassegnarci al fatto che questo mostro statalista, questo Leviatano, oramai non ha più maschere. È nudo davanti a noi e ha un unico obiettivo: la spoliazione delle risorse di cui disponiamo. Siamo alle soglie di qualcosa di veramente nuovo, al culmine di una crisi risolutiva. Al cospetto del territorio continuamente ridisegnato dalla crisi, non serve a nulla muoversi servendosi di formule politiche vuote. Formule a cui non credono più nemmeno coloro che fanno continua professione di fede nei confronti dell’Europa, dell’equità, dell’economia partecipata. Credo che anche in questo l’Italia sia solo l’avanguardia del declino dell’Occidente. La crisi italiana non ha nessuna particolarità. Se l’Italia non fa eccezione, nemmeno la Germania è quel regno del bengodi che viene raccontato. Tutta l’Europa sta attraversando la stessa crisi. Anche se da noi la prospettiva si colora di una particolare tinta: la totale decrescita infelice. Ma questa crisi si produce all’interno di miti costruiti dalla dogmatica giuridica tedesca alla fine del XIX e agli inizi del XX secolo. Miti che risuonano forti, ma non di meno risuonano vuoti nei cuori del cittadini e – novità – persino in quelli della classe politica. Le mitologie giuridiche della modernità e della statualità moderna non hanno più alcun senso.
Nell’Asino di Buridano, parlando dell’oppressione burocratica oramai diffusasi a livello europeo, Gianfranco Miglio scriveva: «Oggi ho una sola speranza: che si possa dividere questo ceto in parti contrapposte, facenti capo a sistemi burocratici divisi e fra loro concorrenziali: sostituire cioè il vantaggio della concorrenza a quello torpido e collusivo del potere unitario e monolitico».
Luigi Marco Bassani: Alla fine della sua parabola di studio, Miglio aveva scoperto gli Stati Uniti. In qualunque altro Paese, diceva, sarei stato considerato un liberale. Qui no, nell’Europa continentale la parabola del liberalismo non ha senso. Non ha senso perché non ha sbocco storico. Se pensiamo a Fermare il declino possiamo dire che è un movimento liberale classico, che vorrebbe mettere un po’ a posto i conti, ma viene tacciato di essere liberista. Una cosa che fa un po’ sorridere. Ma il mostro burocratico ha anche questa forza: mettere etichette e, soprattutto, mettere etichette sbagliate.
Il suo discorso ricorda quello della “prima” Lega….
Luigi Marco Bassani: La Lombardia è la regione che subisce la più grande rapina fiscale della storia dell’umanità. Una rapina che secondo i calcoli di Gpg Imperatrice (vedi →qui) ogni cittadino lombardo che lavora dà 11.000 euro all’anno solo per il “privilegio” di far parte di questa unione. La Lega pone il problema da venticinque anni e non è mai stata in grado di risolverlo. È quindi ridicolo che lo ponga in questi termini oggi.
Perché ridicolo? Dove sta la differenza tra quanto chiede lei e quanto chiede Maroni?
Luigi Marco Bassani: Per prima cosa è assurdo chiedere che il 75 per cento delle tasse rimangano in Lombardia, quando è il 100 per cento la soglia a cui dovremmo puntare. In secondo luogo, è assurdo dire “75 per cento” lasciando inalterato il problema di una tassazione decisa altrove e finisce per legittimare il sacco del 25 per cento. Se anche arrivassero più sodi dallo Stato centrale, questo avverrebbe aumentando la tassazione e distruggendo l’intero apparato produttivo lombardo. La mia idea è in parte diversa da quella di Oscar Giannino, che persegue ancora una via nazionale. Io invece auspico una separazione tra territori. Essendo stato allievo di Gianfranco Miglio, non solo ricordo ma pienamente aderisco alla sua idea della piena legittimità del diritto di stare con chi si vuole e con chi ci vuole. A monte di ogni comunità esiste questo diritto antico. D’altra parte, non credo alla metafisica statuale e non vedo perché non dovremmo mettere in discussione un’unità che costa 50 miliardi all’anno alla Lombardia. I lombardi, se lo sapessero e se fossero informati meglio, riderebbero della lotta in corso in Germania. Una lotta che vede la Baviera e altre regioni indignate contro Berlino – indignate al punto da essersi rivolte alla corte costituzionale – perché si prende 3,2 miliardi di euro l’anno. Un po’ meno di un mese di spoliazione della nostra regione. Solo che noi, dopo venticinque anni di pseudobattaglie della Lega Nord, non riusciamo nemmeno ad avere un referente istituzionale che possa quanto meno lamentarsi di questa ovvietà che distrugge al contempo il Sud e il Nord.
Questo trasferimento di risorse viene spesso giustificato in nome della solidarietà…
Luigi Marco Bassani: Sono almeno vent’anni che non si ritrova, nel dibattito politico, una qualsiasi giustificazione etica di questo trasferimento. Tutto è accaduto come se fosse una necessità sistemica. Bizzarramente, quando la Lega è al governo questi trasferimenti di risorse dal Nord al Sud aumentano (Luca Ricolfi ha calcolato che 90 miliardi all’anno vanno dal Nord al Sud). Tutti sanno che sono soldi destinati allo spreco, non alla reale solidarietà. Ma tutti tacciono, compresa la sinistra cattolica, che ha le sue colpe. Questa ha infatti confuso tassazione e solidarietà e, ora, si accorge che le due cose non vanno di pari passo. La sinistra cattolica deve svegliarsi o si ritroverà un Paese talmente povero dove non sarà possibile fare né carità, né tassazione, né autentica solidarietà. Questo, secondo me, è un tema capitale per tutto il terzo settore. Presto ci troveremo tutti a sud di nessun nord, se non agiamo.
Non significa riproporre il tema della secessione?
Luigi Marco Bassani: “Secessione” è un termine che spaventa e non ha molto senso. “Federalismo” è stato utilizzato per venticinque anni dalla Lega, che ha poi optato per “devoluzione” ma non è giunta a nulla nemmeno per quella strada. La stessa “indipendenza” è stata distrutta dalla Lega perché evoca processi piuttosto volgari, alla Borghezio. Qui si tratta di affrontare seriamente problemi molto reali di due aree del Paese molto diverse. Aree che già don Luigi Sturzo, nella Croce di Costantino (1905), identificava come unificabili dal punto di vista culturale e sociale, ma per le quali non poteva esservi una politica economica comune. Bisogna arrivare a un punto di divisione, per non giungere a un punto di rottura. Ogni investitore lo sa. Lo spread cresce ogni qual volta si pone occhio ai dati: non si può al tempo stesso sostenere questa presunta “solidarietà” tra Nord e Sud e il debito pubblico (che, evidentemente, è accollato al Nord stesso). Questo non è un discorso “secessionista”, è un dato di fatto che dovremmo considerare con realismo e pragmatismo.
C’è poi il problema dell’euro, che unifica molti “nord” e molti “sud”…
Luigi Marco Bassani: L’euro è stato un progetto illuminista assolutamente fallimentare. Il progetto è stato rilanciato ma il fallimento permane: una moneta unica per gestire differenze si ricchezza e di reddito così grandi tra le aree d’Europa è un assurdo. Al tempo dell’introduzione dell’euro si prese il dollaro come esempio. Ma l’esempio era sbagliato: non solo perché il dollaro si era consolidato nel tempo attraverso le preferenze dei consumatori (il mercato), ma perché posta a 100 la contea americana più ricca la più povera è pari a 50. Una differenza non minima, ma non drammatica quanto a reddito pro capite. In Europa, invece, posta a 100 l’unità amministrativa più ricca, quella più povera assimilabile è 12. Capirete che è un po’ diverso.
Lei ha accennato a un crollo globale del sistema di welfare. Assumiamo che, per una ragione o per l’altra, questo crollo sia oramai inevitabile. Che fare? Puntellare finché possiamo? Lasciare che tutto cada?
Luigi Marco Bassani: Con grande chiarezza affermo che gli Stati Uniti producono più caritas. Non solo perché sono il Paese più ricco, ma perché esiste un sistema di deducibilità fiscale molto vantaggioso e rispettoso dell’autonomia dell’individuo. C’è anche un altro punto: gli Stati Uniti sono ancora un paese cristiano, mentre l’Europa si va sempre più scristianizzando. Il 65 per cento degli americani partecipa, ogni settimana, a una funzione religiosa, per lo più cristiana. In Europa siamo fermi al 15 per cento (in Italia siamo forse al 18 per cento). Un altro Paese che dà molto in termini di caritas e welfare informale – chiamiamolo così – è la Svizzera. Anche in Svizzera la tassazione non arriva al 30 per cento sui “ricchi” (ricchi non a caso, perché la tassazione è più bassa…). I cattolici dovrebbero togliersi dalla mente certi miti statalisti per cui la dignità dell’uomo starebbe in qualche legge dello Stato che redistribuisce all’uno, i soldi di un altro. Bisogna invece puntare sulla donazione volontaria, non su benefici ottenuti per mezzo di una legge. Bisogna lavorare nella cornice della cooperazione umana e del volontarismo. In Lombardia abbiamo uno straordinario volontariato. Un volontariato che la legge schiaccia sempre di più. Oggi sono certe agevolazioni fiscali che mancano, o un’imposta (l’Iva per esempio) che cresce e via discorrendo. Ma domani? Perché non possiamo rivolgerci senza remore al sistema della carità? Un sistema liberato da lacci, detassato? La carità è impossibile con una tassazione al 70 per cento!
Perché, allora, non succede? Il volontariato è una grande forza, ma non sufficiente per rovesciare il “principe senza scettro” (per dirla con Lelio Basso e Maranini), il mostro burocratico-statalista (per dirla con von Mises)?
Luigi Marco Bassani: Qui siamo nel cuore del vero dramma dell’Occidente: la vittoria del paradigma hobbesiano. Un paradigma ripetuto in cento modi e cento versioni che, però, può essere ridotto a questa formula: in assenza di un’autorità impositiva, gli uomini sarebbero pronti a ammazzarsi. È il famoso homo homini lupus. Questo paradigma ha riscosso un enorme successo nella nostra storia perché, ovviamente, giustifica un’enorme possibilità di oppressione per mezzo di leggi e imposizione fiscale. Anche le neuroscienze, non solo la filosofia morale e politica ci mostrano oramai che è vero il contrario: gli uomini, liberati dalla gabbia della paura e dell’oppressione, sono naturalmente portati alla cooperazione. Gli uomini sono naturalmente sensibili alla sofferenza dell’altro. Colui il quale non sente dolore, non com-partecipa alla sofferenza dell’altro è un mostro. Un mostro spesso partorito proprio da quel Leviatano che secondo Thomas Hobbes doveva essere il rimedio al dramma sociale scaturito dalla mancanza di cooperazione tra gli uomini. Partire da qui non è utopico. Qui e ora è possibile mostrare e dimostrare che un’altra convivenza è non solo auspicabile, ma possibile. Si esce dalla crisi seguendo una sola ricetta: più libertà.
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