Welfare

Ludo Labo, la coop che unisce gioco e cultura

Costituita a gennaio 2021 in piena pandemia ha vinto il primo premio della settima edizione di Imprendocoop. «Il gioco è un prodotto culturale. Proprio come un romanzo o una canzone, può essere di maggiore o minore qualità. Eppure, mentre per i prodotti letterari o musicali questa distinzione è ovvia, per i prodotti ludici non accade», spiegano Glauco Babini e Andrea Ligabue, presidente e responsabile didattico. L'intervista doppia

di Laura Solieri

Con la pandemia, il gioco ha ricevuto grande impulso dalla situazione. Tante persone si sono ritrovate in una condizione inedita, per via della quale hanno dovuto passare molto più tempo in casa, riscoprendo o esplorando attività che precedentemente non erano nel loro raggio d'azione. In particolare, è molto aumentata la fruizione di giochi di ruolo e videogiochi. E sempre in piena pandemia, è nata a Modena una realtà unica a livello nazionale che combina esperienze e competenze diverse legate al mondo del gioco e che da questa diversità di approcci trae la forza per progettualità particolarmente efficaci. Vincitrice del primo premio della settima edizione di Imprendocoop, la neonata cooperativa Ludo Labo intende portare il gioco di qualità negli ambienti culturali e qualità e cultura negli ambienti di gioco, ideare e produrre giochi intesi come prodotti editoriali, organizzare eventi di gioco, fare formazione e lanciare una rivista specializzata sull’educazione ludica.


Ludo Labo si è costituita a gennaio 2021 in piena pandemia (e già questa è una bella notizia) con vari obiettivi: cosa intendete per giochi di qualità e come avete in mente di portarli negli ambienti culturali e viceversa?
Il gioco è un prodotto culturale. Proprio come un romanzo o una canzone, può essere di maggiore o minore qualità. Eppure, mentre per i prodotti letterari o musicali questa distinzione è ovvia, per i prodotti ludici è ancora necessario specificare "a che gioco giochiamo".


Questo è particolarmente vero nel caso delle istituzioni culturali, che fanno fatica a cogliere le potenzialità dello strumento, anche perché nella nostra cultura l'ambito ludico – diversamente da quello letterario per esempio – è stato fortemente trascurato – afferma Glauco Babini, presidente della cooperativa, membro del Game Science Research Center e dell’AIPH, tra gli ideatori e organizzatori di Play – Festival del Gioco – Capita quindi spesso di vedere (anche in circuiti di profilo elevato) candide riproposizioni di party game in voga cinque secoli fa, a cui è stato semplicemente cambiato il vestito. Facendo un paragone musicale, è un po' come se da mezzo millennio la canzone non avesse altra forma che il madrigale. Per converso (non essendo chiamato ad assolvere funzioni diverse dall'intrattenimento) il mondo del gioco soffre spesso di una mancanza di approfondimento culturale. Ludo Labo propone invece il gioco come strumento culturale moderno, progettato in funzione dell'obiettivo e del target, in modo che il messaggio non sia solo una coloritura ma che entri nelle meccaniche stesse, e giocare sia un modo efficace per approfondire un argomento e interagire con esso.

In Italia, com'è l'interazione tra il mondo del gioco e la scuola?
Il rapporto tra mondo della scuola e gioco è in positiva evoluzione.

Sempre più spesso scuole ed insegnanti sono portati a cercare forme di didattica diverse ed alternative che possano essere motivanti e stimolanti e al tempo stesso permettano di lavorare sui processi e non solo sui prodotti – spiega il ludologo Andrea Ligabue, responsabile didattico della cooperativa oltre che membro del Comitato Scientifico del Game Science Research Center e direttore artistico di Play – Festival del Gioco – Il gioco sta riuscendo a vincere il diffuso preconcetto che non sia un'attività seria, formativa ed utile. A livello nazionale cominciano ad esserci proposte e progetti di valore. Quello che ancora manca, dove noi come Ludo Labo vogliamo dare il nostro contributo, è la conoscenza approfondita e diffusa dello strumento gioco: troppo pochi insegnanti sono in grado di scegliere ed utilizzare i giochi giusti per i loro obiettivi educativi. Come Università di Modena e Reggio Emilia da diversi anni proponiamo un laboratorio specifico a Scienze della Formazione Primaria ma il lavoro da fare è ancora tanto prima che il gioco, da tavolo o di ruolo, diventi uno strumento davvero diffuso ed utilizzato dagli insegnanti.

Cosa, dal suo osservatorio, è sottovalutato o comunque non adeguatamente approfondito delle potenzialità dell'educazione ludica, nelle scuole ma anche in generale? (negli ambienti di lavoro ecc.)
AL: Il gioco è uno strumento che educa alla comprensione e gestione della complessità, che allena competenze ed abilità. L'idea che giocare e far giocare sia utile ed importante comincia a diffondersi, ma l'importanza che la scelta del gioco, delle sue meccaniche e delle sue conseguenti dinamiche, hanno su questi apprendimenti non è ancora patrimonio pubblico. Anche in ambienti di lavoro, dove si parla di team building o cooperative learning, si tende a sottovalutare come specifici giochi scelti ad hoc, specifiche meccaniche, possano portare risultati molto superiori rispetto ad attività più tradizionali.

Con la pandemia, come è cambiato il rapporto delle persone adulte con la dimensione del gioco? Quanto esso aiuta/stimola/sostiene la mente umana nel favorire evasione, creatività ma anche una dimensione di complessità (sempre necessaria), in questo periodo storico?
GB: Il gioco ha certamente ricevuto impulso dalla situazione ma non legherei questo dato al concetto di evasione, perché è fuorviante (in realtà "evadiamo" anche quando leggiamo, ma nel caso del gioco l'evasione sembra sempre avere un'accezione negativa). Sarebbe meglio associare il gioco al concetto di allenamento, che gli è proprio, in particolare apprezzandone il fatto che lo si possa praticare in casa. Scegliendo bene i giochi con cui allenarci, usciremo dall'isolamento rafforzati. E se proprio ci è andata male, avremo almeno imparato a perdere, che è un insegnamento preziosissimo.

I dati ci dicono che è aumentata nell’ultimo periodo la fruizione di giochi di ruolo e videogiochi e anche che, per quanto riguarda i videogiochi, il 47% dei gamer è donna, ma solo il 17% lavora nell’industria… Dal vostro osservatorio, come commentate questo dato?
Il dato è molto interessante perché indica un cambiamento di costume e mostra come il gioco, nelle sue diverse forme, stia diventando un fenomeno in grado di interessare tutta la popolazione, indipendentemente dall’età e dal genere. Questi numeri vanno a sfatare alcune credenze tuttora diffuse, ovvero che il gioco sia una attività rivolta all'infanzia o che i giocatori adulti siano in grande maggioranza maschi. Questa evoluzione del mercato, non solo videoludico ma anche relativo al gioco analogico, di ruolo o da tavolo, andrà senz’altro ad influire sulle dinamiche dell’industria ludica che dovrà essere capace di parlare un linguaggio più articolato e plurale. Al cambiamento della platea dei giocatori confidiamo faccia seguito, in tempi non troppo lunghi, uno analogo dei game designer ed in generale delle persone impiegate nell’industria del videogioco e del gioco.

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