Nel mirino
Luciano Spalletti, il Carlin Petrini del football abituato a vincere dove non vince nessuno
Luciano Spalletti è innanzitutto filosofo di campo, è un uomo di vittorie non ordinarie. Vinse con lo Zenit di Pietroburgo, quando ancora non era una bestemmia lavorare per la squadra di Putin e Gazprom. Vinse a Napoli dove non vinceva più nessuno da un pezzo. I cabalisti hanno notato che sono entrambe squadre vestite d’azzurro...
Arriva sempre per l’Italia il momento dell’uomo forte, che spesso poi per gli italiani coincide con il poeta-contadino: il Duce della battaglia del grano, la ducetta che prende a ceffoni il politico locale («sono quella stronza della Meloni»). Da quando se n’è uscito con quel capolavoro di bullo popolar-portuale in faccia al direttore di Tuttosport, «vengo e ti strappo tutte e due le orecchie. Vengo e ti picchio sul muso», culliamo l’inconfessabile pensiero che l’uomo della provvidenza per il calcio italiano avrebbe dovuto essere lui, Massimiliano Allegri. Il generale Vannacci della Nazionale aggressivo-sovranista.
Le cose stanno come si sa diversamente ed è venuto il momento di un altro uomo della provvidenza, o per meglio dire di un autentico filosofo contadino: Luciano Spalletti.
È lui a guidare la Nazionale azzurra in Germania nell’impresa di replicare il successo dei ragazzi del Mancio a Londra la volta scorsa. E se c’è uno molto diverso da Roberto Mancini, ma anche da Allegri, è proprio il filosofo contadino seduto a Bordocampo (che è pure il nome di uno dei vini che produce sui colli fiorentini) con l’aria di un Cincinnato richiamato in servizio quando la patria è in pericolo. E niente da dire sulle sue capacità sportive — seppure non si presenti con lo stigma del taumaturgo, come capitò a Lippi, a Conte e allo stesso Mancio — quello che incuriosisce, di Luciano Spalletti, è la sua personalità e la sua aneddotica. Da filosofo di campagna appunto, così diverso dai “super professional” alla moda. Uno che dice: «Non non sono nato in Toscana, sono voluto nascere in Toscana. Sono uno che ama stare nella campagna, potare le piante, dare da mangiare agli animali». Ma anche uno che ama filosofare, è il campione del mondo dei discorsi in cui si aprono infinite parentesi che però non chiudono mai: «Ci viene a mancare il supporto di essere convinti di avere determinate qualità o di avere la forza per reagire e non accettare mai quello che ti sta succedendo. Ho sempre detto che dipendiamo da noi stessi, bisogna andare a dar forza al nostro modo di pensare. Non ci dobbiamo fidare di quello che ci dicono, ma di quello che riusciamo a fare. Le certezze si ritrovano attraverso piccoli passettini in avanti giornalieri. Qualche volta bisogna anche vincere nel modo di fare e di preparare una cosa. Sentirsi vittoriosi, importanti, capaci di sviluppare un percorso». Il “casino organizzato” del suo conterraneo Fascetti applicato alla lingua italiana.
Pratica un calcio moderno, come usa dire, e del resto il suo Napoli è stato una gioia per gli occhi. Eppure, quando si siede sul prato a pontificare, eccolo con la retorica del calcio di una volta, manco fosse il Carlin Petrini del football: «I giovani calciatori sembrano avere meno fame, hanno troppe sicurezze. La loro formazione avviene su campi perfetti, con l’erba sintetica e le docce calde. Maradona si rotolava con il pallone in campi che sembravano acquitrini. C’era sofferenza, fatica, un’innata cultura della sfida». Vive nel calcio più sponsorizzato del pianeta, ma ha l’ossessione paternalistica di vietare la Playstation ai suoi giocatori: «Alcuni giocatori devono aver creduto che Spalletti abbaia e poi non ha i dentini, invece si sbagliano. Da qui in avanti le Playstation le lasciano a casa e non le portano più». Insomma è uno che prima di allenare i giocatori li vuole moralizzare, ahinoi. Tipo sulle scommesse, fu il primo a strapparsi la pettorina: «La storia delle scommesse è profonda» disse scagliando anatemi suo giovani reprobi. «Ci si indigna, ma si pubblicizza una cosa che ha ragione di esistere solo economicamente e in nessun modo eticamente». Tranne poi dimenticarsi, il filosofo contadino, che il calcio in cui lavora è pagato anche da quel sistema, il suo stipendio compreso. Ma Luciano Spalletti è innanzitutto filosofo di campo, è un uomo di vittorie non ordinarie. Vinse con lo Zenit di Pietroburgo, quando ancora non era una bestemmia lavorare per la squadra di Putin e Gazprom. Vinse a Napoli dove non vinceva più nessuno da un pezzo. I cabalisti hanno notato che sono entrambe squadre vestite d’azzurro. Il filosofo contadino chissà.
Testo tratto integralmente dal numero di VITA magazine di giugno, dove ogni mese Maurizio Crippa cura la rubrica “Nel mirino, il mister X del mese”.
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