Cultura

Luchetti a due tempi

Daniele Luchetti è un regista radar. Nel senso che sa captare bene - vedi Il portaborse - i temi che attraversano il Paese, rendendoli narrazione e discorso...

di Maurizio Regosa

Daniele Luchetti è un regista radar. Nel senso che sa captare bene – vedi Il portaborse – i temi che attraversano il Paese, rendendoli narrazione e discorso. Cioè storia che si dipana sotto gli occhi dello spettatore ma anche ragionamento sottile sulla vicenda stessa. Avviene anche per questo film che ha un bel titolo (diverso da quello del romanzo da cui è tratto: Il fasciocomunista di Antonio Pennacchi) e molti pregi.

Anzitutto la finezza con la quale Luchetti e gli sceneggiatori Stefano Rulli e Sandro Petraglia hanno saputo cogliere la vita quotidiana dell?inizio degli anni 60 in una provincia – Latina – che era davvero (nonostante la vicinanza alla capitale) provincia dell?impero. Un?esistenza apparentemente semplice, priva di stimoli diretti, in qualche modo arricchita dal riflesso di luci lontane.

È qui che vivono la ?piccola peste? Accio e il fratello maggiore Manrico (rispettivamente l?acclamato Elio Germano e il divo del momento, Riccardo Scamarcio). È qui che si scontrano e litigano furiosamente. Che non si risparmiano nulla. Che non accettano compromessi e si guardano in cagnesco come solo l?affetto vero può fare.

Nella prima riuscitissima parte – quella dei primi interessi e soprattutto dei primi amori, che riposizionano gli affetti e le gerarchie – Mio fratello è figlio unico è totalmente persuasivo: sostenuti da dialoghi curatissimi e preziosi e da un cast ben scelto (Angela Finocchiaro: sempre più convincente), i due ragazzi danno vita a un vai e vieni di emozioni, di sfumature. Che gradualmente si ampliano nella seconda parte, perdendo però d?intensità: le ragioni dell?esistenza sono più forti e coinvolgenti di quelle politiche, che prendono via via il sopravvento grazie all?impegno parallelo e contrapposto. Il più grande nella sinistra estrema, il piccolo nel Movimento sociale di Almirante. Una specularità che ben corrisponde al diverso carattere: popolare e fascinoso Manrico; violento e scontroso Accio («fascista dentro», lo definisce il suo ?maestro?, Luca Zingaretti).

Peccato però che alla grande storia – gli eventi a tutti noti, la fantasia al potere, eccetera – la pellicola possa riservare solo accenni, troppo rapidi tutto sommato. Funzionali, non vi è dubbio, a mostrare la contrapposizione feroce delle diverse parti politiche, ma non sufficientemente approfonditi. Si arriva un po? troppo dalle parti di La meglio gioventù (terrorismo compreso).

Insomma, una pellicola un po? disuguale ma ben al di sopra del livello medio troppo spesso imperniato su i primi amori, i primi baci e i primi divorzi?


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