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Luca Bifulco: «Maradona non doveva educare, ma ispirare»

Il sociologo del dipartimento di scienze sociali dell’Università di Napoli Federico Secondo, spiega come l’attaccamento dei napoletani a Maradona abbia profonde radici sociali: «Arriva a Napoli e rompe l’ordine precostituito. Ci ha orientato tra le strade dell’identità napoletana e della narrazione della napoletanità»

di Anna Spena

ll professore Luca Bifulco, sociologo del dipartimento di scienze scienze sociali dell’Università di Napoli Federico Secondo ha studiato Maradona come fenomeno sociale. «Maradona», spiega, «è stato al centro di tanti seminari sull’eroe sportivo, ci ha consentito di analizzare il contesto socio-storico della Napoli degli anni Ottanta. Maradona ci ha insegnato i meccanismi della mitopoiesi, ci ha orientato tra le strade dell’identità napoletana e della narrazione della napoletanità. Ci ha donato uno sguardo privilegiato sui sogni degli ultimi, era così carismatico che sembrava uscito dalla penna di Weber. Maradona era così rivoluzionario che Marx lo avrebbe conteso a Weber. Maradona era così divino che anche Durkheim avrebbe arricchito le sue intuizioni sul sacro e il profano. Insomma Maradona…era Maradona, anche per le Scienze Sociali».

E proprio perché era tutte queste cose insieme che i napoletani lo hanno amato e lo amano in una maniera così viscerale. Maradona è deceduto ieri, a 60 anni, per un arresto cardiorespiratorio nella sua casa di Tigres, in Argentina. Ma Maradona a Napoli non muore mai, mito lo era già da prima. «Tra i vari studi che abbiamo fatto in università sullo sport», dice Bifulco, «una in particolare era sul tifo napoletano, che crea, inutile dirlo, un fattore identitaria fortissimo. Abbiamo preso in considerazione due generazioni di tifosi: chi Maradona l’aveva vissuto e chi l’aveva vissuto con i racconti. In entrambe le generazioni le parole che venivano fuori si ripetevano: «orgoglio, riscatto, rivincita, redenzione, per le seconde generazioni Maradona era diventato un dogma, il simbolo più grande che abbiamo come identificazione della comunità cittadina».

Ma cosa costruiva l’identificazione con Maradona?: «Maradona era un leader carismatico. Il carisma è una qualità riconosciuta a una persona e che carica su se stesso il destino sulla comunità. Maradona rovescia la tradizione. Viene a Napoli e rompe l’ordine precostituito del potere del Nord sul Sud, del potere calcistico delle squadre del Nord, e vince a Napoli con le caratteristiche con cui ai napoletani piace raccontare se stessi: Il napoletano anarchico, refrattario alle regole, ribelle. Questa è solo una rappresentazione sia chiaro, ma lui ha vinto con questo stile. Sociologicamente appunto è un simbolo di identificazione, serve a richiamare energia, autostima, orgoglio».

E i problemi della vita fuori dal campo non hanno scalfito la sua figura: «Sui suoi risvolti biografici non c’è un meccanismo che è di dimenticanza, ma di consapevole accantonamento. Maradona nella vita privata avrà fatto scelte opinabili, ma per il tifoso sono cose secondarie, irrilevanti anche se non vengono disconosciute. In Maradona non cerchi l’esempio comportamentale, Maradona non deve educare. Ma giocare a pallone, ispirare».

Credit Foto Wikimedia

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