Preziosi habitat e una ricchissima biodiversità travolti. Il racconto di chi ha vissuto il disastro dell’Erikadi Massimiliano Rocco
Ancora una volta siamo di fronte ad una tragedia annunciata. Questa marea nera e oleosa, che soffoca e attanaglia tutto, arriverà alle paludi della Louisiana, coprirà le piante acquatiche, sarà sbattuta dalle correnti sulle spiagge, tra gli isolotti galleggianti, nei più reconditi canali di uno dei luoghi più ricchi di fauna della costa meridionale degli Stati Uniti. Quell’angolo di pianeta è stato giustamente definito un paradiso per centinaia di migliaia di uccelli marini, una nursery per pesci e crostacei, territori di alligatori e squali, ma anche un tesoro per l’economia di quella zona, per migliaia di famiglie che vivono della pesca dei gamberi.
In Francia durante il disastro dell’Erika ho visto migliaia di uccelli cercare di pulirsi le penne per ore, per giorni, in maniera frenetica e convulsa, finendo per avvelenarsi lentamente. Con mia moglie ed il compianto amico Emilio Nessi, ho inseguito lungo la costa la speranza di trovare cormorani, anatre, pulcinella, gazze marine prima che il petrolio li inghiottisse per sempre. Ho visto edredoni e svassi in balìa delle onde non riuscire più ad alzarsi in volo e sparire nelle profondità marine tirati a fondo dal peso delle loro piume imbrattate di petrolio. In una lotta contro il tempo migliaia di volontari percorrevano le coste a piedi in cerca di sopravvissuti, da trasferire subito nei centri di assistenza, dove altre centinaia di volontari si alteravano in turni massacranti. Nella scuola di veterinaria di Nantes, la Lpo – Ligue pour la Protection des Oiseaux, in collaborazione con l’università, aveva allestito un ospedale da campo per uccelli e predisposto nell’emergenza decine di box per ospitare migliaia di uccelli marini, dalle splendide urie agli orchetti marini, dai marangoni dal ciuffo alle strolaghe: tutti color nero petrolio, quasi indistinguibili. Per la prima volta in quell’occasione avevo visto all’opera delle “lavatrici”, costruite da un intraprendente francese: gli uccelli venivano infilati in una specie di cestello, con le ali e la testa bloccate per evitare che potessero ferirsi, e per quindici minuti venivano spruzzati e lavati meccanicamente, fase da cui gli uccelli uscivano rinati. Nelle sole prime due settimane dal disastro della Erika erano arrivati alla scuola veterinaria di Nantes oltre 15mila uccelli.
Cosa succederà ora in quell’angolo del Golfo del Messico, alle remote Isole Candelora, un insieme di isolotti creati dai sedimenti depositati nei secoli dal Mississipi? Il delta fossile di questo grande fiume, un’arteria pulsante di vita del Sud degli Stati Uniti, ha nei secoli consentito lo sviluppo di una vita incredibilmente rigogliosa. Tutta l’area del vasto Breton National Wildlife Refuge, protetta dal lontano 1904 dal presidente Roosvelt, il secondo rifugio naturale più antico di tutto il sistema nazionale, subirà questo disastro. Ambienti unici, rifugio per milioni di uccelli marini, il paradiso per il raro pellicano bruno.
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