Formazione

Lotte europee

di Serena Carta

Questo è un post che vuole andare oltre le notizie degli ultimi giorni. Del Caimano che ci prende per il naso e di una classe dirigente “a sua insaputa” (come scrive Sergio Nava sul suo blog). Dei dati Istat che ci dicono che la disoccupazione giovanile ha superato il 40% (che poi, quanto sono rappresentative queste cifre? Ce lo spiega @antoniosiragusa in un bel post su la Repubblicadeglistagisti.it). Degli “oltre 400mila italiani laureati, titolari di diplomi universitari e dottorati di ricerca che hanno lasciato l’Italia e vivono attualmente all’estero” (fonte Coldiretti). Prendiamoci una pausa da queste notizie tutte italiane che sembrano non lasciare spazio a una soluzione e mettiamoci a cavallo della frontiera (letteralmente), magari sulla punta del Monte Bianco o sulle cime dell’Aspromonte, e sentiamoci accomunati – noi cittadini del Sud Europa – da un destino comune.

«Ciao Sere, ti inoltro quest’email per il tuo blog. Della serie “vivere in Italia – e in generale nel Sud Europa – sarà più facile se le lotte saranno europee“». La mia amica A. vive all’estero da qualche tempo. Come tanti, prova giornalmente sulla sua pelle il dilemma del tornare o restare. Gli affetti, la famiglia e un certo senso di responsabilità civica chiamano; ma le condizioni per un ritorno non sono ancora quelle giuste. Però, forse, chissà, un giorno vicino.

Intanto A. non si rassegna. Perché stare all’estero non significa diventare non-pensanti né annullare il diritto/dovere di essere cittadini attivi. D’altronde noi 30enni, figli dell’UE, dell’Erasmus e del programma Youth in Action, sappiamo bene (nonostante la realpolitik preferisca ignorarlo) che l’epoca degli stati-nazione è finita. Grecia, Spagna, Portogallo, Cipro e Italia: soprattutto noi, sì, siamo sulla stessa barca.

L’email che mi inoltra A. è l’invito a partecipare a un “meeting strategico europeo” ad Amsterdam dal 4 al 6 ottobre. Il titolo è evocativo – Economic governance, the Troika and the struggles against European neoliberalism– e l’appello a “dibattere sulle strategie contro le misure d’austerità e la governance economica europea” è diretto a ong, organizzazioni della società civile e attivisti.

Si tratta di un seminario sul tema dell’austerità che rientra tra gli appuntamenti a seguito dell’Alter Summit che si è tenuto ad Atene lo scorso giugno, quando attivisti provenienti da tutta Europa si sono riuniti per dare il via a una “discussione strategica per organizzare lotte comuni contro la politica neoliberista europea imposta dalla Troika e dalla nuova governance europea e le sue disastrose conseguenze”. In quell’occasione il cosiddetto movimento sociale europeo – composto da organizzazioni della società civile, movimenti sociali, sindacati e cittadini – si è incontrato per proclamare il “Manifesto di Atene”, un documento nel quale si afferma l’intenzione di cooperare a livello europeo per i beni comuni sociali e naturali, per i diritti sociali e del lavoro, per la democrazia, la giustizia globale e la pace, per le istanze di genere e i diritti dei migranti. Nella diversità di contesti e di società di partenza, i punti comuni che generano indignazione sono tanti: l’austerità e il “patto fiscale”, le politiche e il mandato della BCE, la privatizzazione del servizio sanitario pubblico, la crescita di una destra neo-populista e neo-nazista.

La rete degli attori che vorrebbero vivere in “un’altra Europa” nasce qualche anno prima del summit di Atene. E si presenta ufficialmente e pubblicamente in terra italiana, a Firenze, città che ha avuto l’onore di ospitare nel 2002 il primo Social forum europeo. Le analisi, proposte e soluzioni presentate all’epoca sono evidentemente rimaste carta morta. Se fossero state tradotte in politiche, probabilmente oggi non assisteremmo all’infelice spettacolo di un’Europa che non sembra essere in grado di offrire garanzie sociali, economiche, ambientali e democratiche. 10 anni dopo, il Firenze 10 + 10 ha rinnovato l’appello a presentarsi uniti e a scandire le proprie azioni di lotta e protesta per il “bene europeo”.

Insomma, qual è il punto di tutto ciò? Come leggo nell’email inoltratami da A., “mentre ci sono state lotte impressionanti a livello nazionale in Europa del sud, il coordinamento europeo e la reazione europea sono state sporadiche – eccezion fatta per alcune azioni comuni, che hanno permesso ad alcuni paesi di avere visibilità ma che non si sono tramutate in concreti e visibili cambiamenti. Allo stesso tempo stanno emergendo nuove forme di azione, organizzazione e campagne, troppo spesso purtroppo con una piccola coordinazione tra attori sociali per promuoverle”. L’invito è quindi quello a creare sinergie, a parlarsi di più, a dare vita a reti che aumentino la consapevolezza e le risorse per portare ai vertici le istanze comuni. La sfida è quella di raggiungere un livello europeo che chi opera a livello nazionale o locale riesce a intercettare con difficoltà.

E allora sì che ha ragione A. Ci sentiremmo meno soli e forse tutto sembrerebbe un po’ più facile se, nelle nostre disavventure italiote, ci confrontassimo più spesso con chi condivide con noi il peso di questa crisi.

Photo credits: http://bit.ly/1fFUmgF

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