La lotta alla povertà occupa sempre più spazio nelle politiche di welfare. E la sua crescente rilevanza contribuisce a cambiare l’assetto della protezione sociale, sia per quanto riguarda le modalità di risposta, sia guardando alle strategie e alle attività messe in atto dai diversi attori pubblici e privati che si mobilitano per rispondere a questa sfida che l’emergenza della pandemia ha ulteriormente amplificato.
Alcune di queste conseguenze si potrebbero interpretare come un ritorno al passato del welfare: si assiste infatti a un maggior utilizzo dei trasferimenti economici messi nelle tasche dei cittadini a volte senza particolari vincoli rispetto all’utilizzo, come nel caso dei “ristori” per categorie economiche erogati negli ultimi mesi. Allo stesso modo si nota un maggior protagonismo dello Stato centrale rispetto alla gestione del welfare. Una svolta rispetto a quanto è successo negli ultimi decenni dove invece la protezione sociale si è molto sviluppata come offerta di servizi che ricercava a livello locale la sua migliore integrazione. Un modello che, non a caso, intitola la legge quadro di riforma sui servizi sociali (l. n. 328/00) approvata vent’anni fa.
Quali saranno gli effetti di questa trasformazione sul terzo settore? E sull’impresa sociale in particolare? La domanda è tutt’altro che banale considerando che molte di queste organizzazioni sono diretta emanazione di modelli di welfare locale e dei servizi dove la lotta alla povertà non rappresentava, almeno fino a qualche anno fa, una vera e propria priorità, rimanendo spesso confinata al rango di sperimentazione su segmenti “marginali”, anche in termini quantitativi, della popolazione.
Ora però che la nostra società sta mutando in profondità la sua stratificazione sociale evidenziando ampie fasce di povertà che in alcuni territori come le periferie urbane e ambiti di attività come i lavori servili stanno diventando sempre più rilevanti è necessario che il terzo settore e l’imprenditoria sociale nel suo complesso – e quindi non solo quella parte già storicamente impegnata su questo fronte riconverta il suo orientamento strategico e il suo modus operandi.
Alcuni passaggi in tal senso sono già stati compiuti.
- In primo luogo contribuire alle attività di advocacy che hanno l’obiettivo di rappresentare i bisogni legati alla povertà e di promuovere soluzioni adeguate. E’ il caso, ad esempio, dell’alleanza contro la povertà che dal 2013 sensibilizza l’opinione pubblica e influenza il dibattito politico attraverso un approccio basato sull’evidenza empirica e la proposta di concreti strumenti come il Reis (Reddito d’inclusione sociale). O ancora nel riconoscere nuove forme di povertà come quella educativa che ha portato alla costituzione di un fondo nazionale che ne contrasta gli effetti gestito dall’impresa sociale Con i bambini.
- In secondo luogo si possono evidenziare tutti quegli interventi che mirano, da una parte, ad allocare le risorse economiche facendo in modo che arrivino direttamente a coloro che ne hanno bisogno e, al tempo stesso, si possano creare le condizioni per attivare percorsi di sostegno all’uscita dalla situazione di povertà evitando che si ripresentino le ben conosciute “trappole del welfare” che alimentano forme di assistenzialismo.
L’utilizzo di piattaforme di welfare digitale per accedere a contributi economici come i buoni spesa tracciandone le modalità di utilizzo rappresenta, da questo punto di vista, un elemento di “efficientamento” del sistema strettamente legato a principi di equità. Allo stesso modo la presenza di figure come i welfare o community manager e di interfacce fisiche annidate nel luoghi “giusti” – cioè in quelli abitualmente frequentati per la soluzione di bisogni primari come la spesa, la ricerca di lavoro, i centri di assistenza fiscale, ecc. – possono consentire di disegnare, con i beneficiari e altri attori del territorio, percorsi di inclusione sociale che facciano leva su una una pluralità di interventi: lavoro, casa, educazione, cura, ecc. Un’attività di rete che genera importanti benefici indiretti anche a favore dell’economia locale, ad esempio per tutti quegli esercizi commerciali presso i quali le persone destinatarie dei buoni possono fare la spesa, innescando quel driver “digi-cal” (digitale e locale) coniato da Paolo Venturi per leggere lo scenario pandemico.
In questo senso la trasformazione digitale del welfare in piattaforma rappresenta una sorta di “ritorno al futuro” perché attraverso essa si recuperano e si integrano in modo nuovo elementi costitutivi della protezione sociale, in particolare quelli relativi all’accessibilità alle risorse e al loro impiego per finalità non solo di assistenza ma anche di empowerment. Inoltre l’innovazione legata alla lotta alla povertà può rappresentare per il terzo settore e per il suo partner privilegiato – la Pubblica Amministrazione locale – una modalità che risolve (o almeno attenua) il trade off tra trasferimenti economici ed erogazione di servizi e, più in generale, una modalità utile per interpretare in senso più pragmatico e paritario la coprogettazione evitando che quest'ultima cada nella retorica del dialogo sociale di taglio programmatorio o, al contrario, nel mascheramento di assetti competitivi e incentrandola invece sulla costruzione e sul governo di una infrastruttura sociotecnologica come bene di interesse collettivo.
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