Non profit

Lotta alla fame, Il Brasile arriva prima di tutti

Intervista a Patrus Ananias, ministro per lo sviluppo sociale

di Paolo Manzo

Più di 16 milioni di persone hanno già superato lo stato di indigenza.
Un traguardo raggiunto dieci anni prima delle scadenze dell’Onu. «La prossima sfida? Riconquistare le periferie» Tra i primi paesi al mondo a uscire dalla crisi economica e sempre più gigante geopolitico mondiale (come dimostra l’assegnazione a Rio delle Olimpiadi 2016), il Brasile è stato anche riconosciuto sia dall’ONU che da una delle ong internazionali più importanti al mondo ? ActionAid International ? come la nazione emergente che sta facendo di più per combattere fame e povertà. Per capire se questi allori sono giustificati Vita ha intervistato Patrus Ananias, 57 anni, ministro per lo Sviluppo Sociale e la lotta contro la Fame del governo Lula.
Vita: Ministro, sono reali le vostre conquiste nella lotta contro la fame?
Patrus Ananias: Le statistiche dicono che, oggi, il 93% dei bambini e l’82% degli adulti inseriti nel Programma Borsa Famiglia fanno almeno tre pasti al giorno. Il ministero della Sanità ha conseguito una riduzione dal 2003 ad oggi del 73% nell’indice di denutrizione cronica infantile nel Nordest, la regione tradizionalmente più povera del Brasile. Studi dell’Ipea, l’Istituto di Ricerca Economica Applicata, hanno contabilizzato 16,5 milioni di persone che sono uscite dalla povertà negli anni di Lula al governo. Con 10 anni di anticipo rispetto a quanto fissato dall’ONU abbiamo centrato 2005 il primo degli Obiettivi del Millennio, ovvero quello di ridurre almeno del 50% chi vive in estrema povertà. Per questo abbiamo cambiato per nostra iniziativa l’obiettivo e, adesso, per il 2015 l’obiettivo è di portare le persone che vivono con meno di un dollaro al giorno ad un quarto rispetto al 2000.
Vita: Insomma la fame in Brasile non è più un problema…
Ananias: Il sistema non può essere smantellato. Stiamo sconfiggendo il problema della fame endemica ma – anche se sta diminuendo – quello della denutrizione è ancora presente, così come quello della cattiva alimentazione. Mi piacerebbe tra qualche anno togliere la scritta “lotta contro la Fame” dal mio ministero e trasformarlo in un semplice ministero per lo “Sviluppo Sociale”. Purtroppo adesso è impensabile.
Vita: Oltre all’alimentazione, avete altre priorità di inclusione sociale?
Ananias: La grande sfida è una presenza più vigorosa ed efficace nelle aree povere delle periferie delle grandi città. Azioni che possano, in concreto, ricostruire i vincoli comunitari e combattere la presenza disaggregante del crimine organizzato. Lula ci ha suggerito di pensare a un modello di Territorio Urbano della Cittadinanza (Tcu) che integri le azioni già sviluppate in queste aree. Si tratta di zone in cui c’è già la presenza dello Stato, con ambulatori, Centri di Assistenza Sociale (Cras), commissariati di polizia e ong, ma questa rete di “presenze di cittadinanza” deve essere più articolata.
Vita: Cosa risponde a chi vi critica per l’assistenzialismo di programmi come Borsa Famiglia, che prevede l’assegnazione di circa 40 euro al mese ai poveri?
Ananias: Che l’assistenza sociale è un diritto, Borsa Famiglia è un diritto, dare assistenza ai cittadini è un dovere dello Stato sancito dalla costituzione brasiliana. L’assistenzialismo è un’assistenza deturpata, che impedisce la crescita delle persone, che si colloca come un favore del dominus non come un diritto. Sono due cose totalmente differenti ed è bene fare questa distinzione.
Vita: C’è chi dice che la violenza sia sinonimo di esclusione sociale. Che ne pensa ministro?
Ananias: Mi fa venire in mente una frase di Papa Paolo VI: «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace». Ma non solo lo sviluppo economico bensì quello integrale delle persone, delle famiglie, delle comunità e dei popoli. Sono molti, oggi, i cammini necessari per la pace ma, tra questi, sicuramente il cammino della giustizia sociale è quello che attraversa tutti gli altri. In Brasile le politiche sociali ci stanno aiutando a superare le disuguaglianze e il debito sociale storico accumulato in 500 anni di esclusione e le cui conseguenze purtroppo viviamo ancor oggi. Purtroppo ci sono ancora oltre 20mila giovani, tra i 15 e i 19 anni, che ogni anno in Brasile sono assassinati.

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