Le sfide del back to school/3
Lotta alla dispersione scolastica, il diavolo sta nei dettagli
È una sfida antica, ma proprio per questo improrogabile: l'Italia non può arrendersi a perdere 100mila studenti l'anno. L'attenzione della politica e della società ora c'è, i dati migliorano, ma nella lotta alla dispersione scolastica l'Italia non riesce a fare il salto. Marco Rossi-Doria spiega il perché
Sembra un vecchio ritornello, già visto e già sentito: in effetti la dispersione scolastica tutto è fuorché una nuova sfida per la scuola italiana. Ma pure nel suo essere antica, resta una sfida non risolta e proprio per questo non rimandabile.
Il Governo Meloni, con quello che è già stato ribattezzato “decreto Caivano”, si avvia ad approvare delle “Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”: tra le misure di cui si parla, oltre all’ipotesi già contestatissima di un abbassamento dell’imputabilità dei ragazzi da 14 a 12 anni, ci sarebbero un investimento massiccio nelle scuole dei contesti più fragili del Sud Italia con “Agenda Sud” e la previsione del carcere (fino a due anni) per i genitori che non mandano i figli a scuola.
Ne parliamo con Marco Rossi-Doria, grande esperto di dispersione scolastica e di scuola inclusiva: già maestro di strada e sottosegretario all’Istruzione, oggi è presidente dell’impresa sociale Con i Bambini, legata al fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, che con i suoi bandi e un contributo di oltre 380 milioni di euro, ha finanziato ormai più di 600 progetti in tutta Italia.
Rossi-Doria ha presieduto anche la cabina di regia voluta dall’allora ministra Valeria Fedeli, che a inizio 2018 aveva consegnato al Paese un documento dettagliato sul “cosa fare” per combattere la dispersione scolastica, valido ancora oggi proprio perché basato sugli impatti dei progetti e dei programmi da decenni in atto sia in Italia sia all’estero. «Offriamo al Paese una fotografia chiara del fenomeno e un piano d’azione per intervenire in maniera efficace e sistemica nella direzione del contrasto del fallimento formativo che, voglio dirlo chiaramente, non è semplicemente uno dei problemi della scuola italiana. È il problema. Della scuola, del Paese intero. Combattere la povertà educativa deve essere la priorità nazionale, perché questa è la base per combattere le altre povertà: da qui partono le disuguaglianze, così come le opportunità. L’abbandono e la dispersione hanno conseguenze negative non solo sulle vite dei singoli, arrecano danno complessivo alla società, comportano una perdita economica per l’intero Paese in termini di Pil, minano la coesione territoriale e sociale», diceva allora Rossi-Doria.
Combattere la povertà educativa non è semplicemente uno dei problemi della scuola italiana. È il problema. Della scuola e del Paese intero. Deve essere la priorità nazionale, perché da qui partono le disuguaglianze, così come le opportunità
— Marco Rossi-Doria, presidente di Con i Bambini
C’è chi abbandona la scuola, chi è iscritto ma non la frequenta quasi mai, chi in classe ci va ma è come se non ci andasse. La dispersione scolastica ha numeri enormi, a cui non possiamo arrenderci. Qualcosa però sta cambiando. Abbiamo tre indicatori positivi: gli Early School Leavers, ci dice Eurostat, nel 2022 in Italia erano l’11,5% contro il 17,3% del 2012; la dispersione implicita, rilevata da Invalsi, è all’8,7% nel 2023 mentre l’anno prima sfiorava il 10% e alle superiori anche i “perenni assenti”, quelli che accumulano tante assenze da essere bocciati per invalidità dell’anno scolastico, sono scesi dal 3,1% di giugno 2022 al 2,8% di giugno 2023.
Il trend del miglioramento lento c’è da molti anni: c’è stato un segnale negativo di ritorno di pochi decimi mi pare nel 2019, ma per il resto rimaniamo nel solco di una tendenza. Questo è un bene, ovviamente. Il punto è che i numeri sono ancora enormi, perché dietro quelle percentuali ci sono decine di migliaia di ragazzi e che il processo di miglioramento va troppo lentamente: non riusciamo a fare lo scatto. Non è impossibile, l’Italia lo ha già fatto nel secondo dopoguerra, all’inizio del boom economico: oggi invece non riusciamo a farlo. Teniamo anche conto che le risorse messe in campo sono enormi: ci sono i progetti delle singole regioni, gli investimenti del Pnrr, i fondi del ministero della Coesione, fondi di Con i bambini, quelli del privato sociale e delle fondazioni… Stiamo parlando di un investimento enorme, è difficile fare una somma perché ci sono progetti diretti ma anche indiretti. C’è un’attenzione pubblica. Da quattro anni siamo anche finalmente usciti da quel disinvestimento sulla scuola dei tempi di Tremonti e Gelmini, che fecero tagli lineari per 7 oltre miliardi e dobbiamo riconoscere che l’Italia sta mantenendo il numero di insegnanti nonostante un calo significativo degli alunni, per effetto del calo demografico: questo significa che ci saranno sempre di più classi con numeri che permettono una relazione didattica vera tra insegnanti ed alunni. Insomma, c’è una maggiore consapevolezza politica e sociale, nessun governo oggi sarebbe disposto a fare tagli lineari sulla scuola, anche se – va pur detto – l’investimento in istruzione resta ancora tra i più bassi in Europa. Questo insieme di condizioni, nel complesso, ha permesso questo trend di lentissimo miglioramento dei dati della dispersione scolastica. Ma non vuol certo dire che sia una battaglia vinta.
Il trend del miglioramento sulla dispersione scolastica c’è da anni. Il punto è che dietro quelle percentuali ci sono decine di migliaia di ragazzi e che il processo di miglioramento va troppo lentamente
— Marco Rossi-Doria
L’Europa si ferma in media al 9,6% e ha indicato per tutti i singoli Paesi l’obiettivo di arrivare sotto il 9% entro il 2030. Il nostro Pnrr fissa l’asticella da raggiungere al 10,2% entro fine 2025. Che cosa ancora non va, allora?
La prima cosa a cui mettere mano è il sistema di istruzione e formazione professionale, che è materia di competenza regionale. Là dove l’istruzione e formazione professionale è consolidata, funziona e ha un reale aggancio con il mercato del lavoro, i livelli di fallimento formativo sono già sotto il 10%. In Veneto siamo attorno al 7%, in Trentino Alto Adige molto al di sotto. Un segnale positivo è che anche regioni che non hanno questa tradizione e che sul punto negli anni passati hanno oggettivamente sperperato risorse, oggi stanno iniziando a dare qualche segnale: Campania, Puglia e Basilicata stanno migliorando il loro sistema di formazione professionale. L’altra questione riguarda gli istituti tecnici e professionali, in cui continuano a fare poche ore di attività pratiche e di laboratorio, dove la teoria e il fare possono dialogare: questo penalizza gli studenti. Poi rimangono i “buchi neri”.
Quali sono i “buchi neri”?
Mi riferisco a quei territori di sofferenza ed esclusione multrisatrato, pluridimensionale, con povertà economica delle famiglie, esclusione di interi quartieri, spesso con l’aggiunta della presenza della criminalità organizzata che offre ai ragazzi modelli devianti che sono un attrattore rischioso, dove non c’è un tempo pieno alle primarie e alle secondarie di I grado, con poca offerta di sport. I numeri della dispersione scolastica, qui, non sono certo quelli delle medie nazionali. Non è un problema solo di Caivano. È un problema che riguarda le città anche le aree interne. La questione della mancanza del tempo pieno, concretamente, vuol dire che se confronti il monte ore di un bambino della Campania nei cinque anni della scuola primaria con quello di un bambino del Veneto, vedi che c’è una differenza di quasi un anno scolastico. È una differenza enorme in termine di ore in materie fondative per il consolidamento di conoscenze e competenze di base. Allora è chiaro che l’altro tema è “basta con i finanziamenti a pioggia”.
Dobbiamo passare da un intervento estensivo, di sistema e a pioggia a un intervento intensivo, avendo grande attenzione a individuare le scuole
— Marco Rossi-Doria
Dovremmo fare come ha fatto Francia, è scritto nel documento della cabina di regia, che fa ancora fede e l’ho ripetuto a maggio in un’audizione alla VII Commissione, che ha fatto le zone di educazione prioritaria. Dovremmo individuare questi territori, con indicatori ben definiti, e lì assicurare in età precoce i nidi, una scuola dell’infanzia di qualità, una scuola primaria e secondaria di I grado con il tempo pieno: ma non un tempo pieno in cui si sta seduti al banco. Non servono solo più insegnanti, servono delle comunità educanti dove scuola e Terzo settore imparano a lavorare gomito a gomito nel rispetto dei ruoli e delle prerogative. Serve un coordinamento fra scuola e fuori scuola, un’alleanza con le famiglie fragili, serve fare con loro tutto quel lavoro che il Terzo settore fare e serve farlo riverberare con la didattica. Dobbiamo passare da un intervento estensivo, di sistema e a pioggia a un intervento intensivo, avendo grande attenzione a individuare le scuole. Lavoriamo per 10 anni – non per 18 mesi – in questo modo, in questi territori, e ne verremo fuori.
Non servono solo più insegnanti, servono delle comunità educanti dove scuola e Terzo settore imparano a lavorare gomito a gomito nel rispetto dei ruoli e delle prerogative
— Marco Rossi-Doria
L’anno scorso fu proprio lei a segnalare il numero preoccupante di studenti non scrutinati per troppe assenze in Campania. Partendo da quello spunto, VITA ha chiesto al ministero i dati nazionali, sia l’anno scorso che quest’anno. Si registra un leggero miglioramento – dal 3,1% al 2,8% – ma parliamo comunque di 58.446 studenti della secondaria di II grado non scrutinati perché avevano frequentato per meno di ¾ dell’orario scolastico annuale, solo considerando le classi dalla I alla IV e senza un paio di territori. Proiettati sul totale degli iscritti, possiamo stimare che siano 74mila contro gli 82mila dell’anno prima. Che fare?
Dinanzi a questi dati, da un lato forse possiamo dire che il disastro post Covid progressivamente si sta mitigando. Dall’altro, appunto, siamo di fronte a tantissimi ragazzi. Al ministero, con spirito costruttivo, mi sentirei di dire che – ora che sono stati cantierizzati i primi 500 milioni del Pnrr per il contrasto della dispersione scolastica – si potrebbe fare una direttiva per i dirigenti delle scuole che hanno aderito. Questi dirigenti sanno nome e cognome dei loro alunni che non sono stati scrutinati per questo cumulo di assenze: li chiamino uno per uno, li convochino a scuola ma non solo alla presenza della scuola, ma insieme al Terzo settore che lavora sul territorio e che può agire utilmente fuori dalla scuola. Con le risorse del Pnrr si proponga a ciascuno di quei ragazzi un programma di ricostruzione della motivazione ad andare a scuola. Non è una cosa difficile da fare e questo matching può diventare una buona pratica, da portare anche in Europa.
Con le risorse del Pnrr si proponga a ciascuno di quei 74mila ragazzi che non sono stati scrutinati per troppe assenze un programma di ricostruzione della motivazione ad andare a scuola. I presidi hanno i loro nomi e cognomi
— Marco Rossi-Doria
Il ministro Valditara ha un piano per la dispersione scolastica, rivolto al Mezzogiorno e concentrato proprio a quei territori – anzi alle singole scuole – che presentano maggiori fragilità sia dal punto di vista dei numeri della dispersione, delle assenze, dei risultati Invalsi, delle caratteristiche socio-economiche delle famiglie. Invalsi ha individuato circa 240 scuole, tramite indicatori specifici, da cui partire, in cui implementare 10 azioni. Ancora non è stato reso pubblico il decreto. Che ne pensa di Agenda Sud, per quello che al momento sappiamo?
Come sempre e come per tutto e per tutti, il diavolo sta nei dettagli: quindi senza aver visto il decreto, non mi sento di fare delle valutazioni precise, nessuno può farle. Ci aspettiamo che il ministero impari dalle esperienze positive e negative del passato, questo sì. Anche per disegnare l’intervento con i 500 milioni del Pnrr il ministero – parlo del Governo precedente – aveva avuto dei suggerimenti in una certa direzione e invece come abbiamo detto più volte, anche su VITA, è stata presa un’altra direzione. Io credo fermamente che la cosa fondamentale sia fare quel lavoro sui territori, attento, che ho appena descritto. Se Agenda Sud invece darà ancora una volta dei soldi alle scuole dicendo loro di fare un avviso pubblico, come hanno fatto per decenni con i Pon e poi con il Pnrr, senza coinvolgere il territorio e senza costruire una comunità educante… allora saremo di fronte ad un altro intervento che, rispetto all’investimento, avrà risultati non straordinari.
Agenda Sud? Come sempre il diavolo sta nei dettagli: senza aver visto il decreto, non mi sento di fare delle valutazioni
— Marco Rossi-Doria
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Che cosa sappiamo rispetto all’utilizzo di quel mezzo miliardo di euro – prima tranche di 1,5 miliardi – che il Pnrr stanzia per il contrasto e la prevenzione della dispersione scolastica? Erano stati assegnati a 3.198 scuole, ma sappiamo poi della lentezza che il procedimento ha avuto.
Le scuole hanno risposto in maniera molto diversa. I presidi che sono cambiati, ci sono stati gli accorpamenti… al netto di tutto questo (che poi questo “tutto” non è affatto irrilevante ma è la rete organizzativa su cui ricade nella realtà qualsiasi attività che affidiamo alla scuola) è successo che i presidi che già nel territorio hanno fatto patti educativi autentici, hanno costruito con il Terzo settore un rapporto paritario e di fiducia, anche nella distinzione di ruoli e funzioni, hanno saputo organizzarsi. Gli altri meno. Anche questi però lo hanno fatto con fatica, perché il Terzo settore deve rendicontare rispetto al proprio singolo operatore e non come associazione. Noi avevamo ipotizzato un’altra modalità di rendicontazione economica: si fa un tavolo con la scuola e Terzo settore del territorio, si “spingono” le associazioni a non farsi concorrenza ma a costruire insieme un piano biennale per raggiungere i ragazzi, d’accordo con la scuola, ci si divide i compiti ma il pagamento da parte del ministero va al all’associazione e non al singolo educatore o operatore. L’altra scelta ha rallentato i tempi e si è mangiata dei mesi: l’orizzonte di lavoro dei progetti di fatto ora è di un anno e mezzo, quando l’esperienza ci dice chiaramente che il tempo giusto per questi interventi sarebbe di 48 mesi, minimo 36/40. Il frame che si è scelto di disegnare, però, non aveva questo orizzonte.
Una novità di questo anno scolastico 2023/24 sono il docente tutor e il docente orientatore. Come valutarli?
Non è una novità, se ne parla da 25 anni. I primi progetti che ebbero questa caratteristica furono fatti con la legge 285/97 ed erano progetti di scuola di seconda opportunità: ricordo Icaro tra Verona e Reggio Emilia, la Scuola della seconda occasione a Roma con una sperimentazione finanziata dall’Europa, il progetto Chance a Napoli e Provaci ancora Sam a Torino. All’epoca si immaginò una sorta di diarchia: ogni ragazzino in difficoltà aveva due tutor, uno – un docente del consiglio di classe – per la scuola e l’apprendimento, che assolveva anche alle funzioni di orientamento mentre l’altro era un educatore. Il modello è stato replicato anche nella formazione professionale del Trentino e ha funzionato. Oggi il modello, da quel che leggo, è tutto interno alla scuola, mentre sappiamo che il modello aperto tra scuola e fuori scuola è quello che funziona nel contrasto della dispersione scolastica, perché bisogna lavorare contemporaneamente su più fronti, diversi: il recupero delle competenze e l’orientamento, certo, ma anche la motivazione. Anzi, direi che il tema è prima di tutto quello dell’autostima e della motivazione, che sono cose che non si costruiscono solo a scuola. È un puzzle complesso, che ha bisogno di una presa in carico complessa.
Il tutor nel contrasto alla dispersione scolastica c’è da 25 anni. Nel modello di Valditara però è tutto interno alla scuola, mentre sappiamo che il modello che funziona è quello aperto tra scuola e fuori scuola
— Marco Rossi-Doria
Per esempio non puoi non coinvolgere i genitori, che a un certo punto non credono più nei propri figli: questo genera conflitti interni alla famiglia. Bisogna che il “principio speranza” ritorni per tutti. Non è che la scuola deve fare tutto, lo sappiamo. Il tutor deve farsi promotore della relazione tra dentro e fuori la scuola, ma se i dispositivi del Pnrr e di Agenda Sud non prevedono un coinvolgimento nuovo, paritario, del pubblico e del privato sociale si rischiano di reiterare gli errori del passato. Che fa la scuola, da sola, quando Giuseppe da dieci giorni non si presenta a scuola? Chi va a parlare con la sua famiglia? Chi si fa carico al prossimo momento di crisi (che ci sarà, lo sappiamo) di fare da rinforzo alla sua motivazione? Come presidente di Con i Bambini non posso che ricordare che il fondo per il contrasto della povertà educativa è un’azione pubblica, sono passati quasi otto anni, ci sono centinaia di esperienze realizzate, possiamo dire quello che ha funzionato meglio e quello che ha funzionato meno. So che la viceministra Maria Teresa Bellucci, che insieme a Alfredo Mantovano presiede il Comitato di indirizzo strategico del fondo, vuole lavorare in questa direzione. Ci sono centinaia di esperienze nel nostro Paese, bisognerà a un certo punto farne tesoro nella scuola ordinaria: siamo a disposizione.
La serie “Back to school – Le sfide”
Questo articolo fa parte di una serie di riflessioni sulle sfide che attendono la scuola nell’anno scolastico che sta per iniziare. Abbiamo già affrontato il tema dell’intelligenza artificiale con Aluisi Tosolini e con alcuni dirigenti abbiamo cercato di capire come parlare ai ragazzi delle violenze avvenute in questa fine estate. Le prossime puntate sono:
– L’orientamento, con Luigi Ballerini
– L’educazione all’affettività e alle relazioni, con Enrico Galiano
– La qualità dell’inclusione scolastica, con Roberto Speziale
Foto in apertura di Cecilia Fabiano /LaPresse
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