Salute
Lotta allAids. I grandi armati di contagocce
E' lo strumento più agile, democratico e trasparente che le Nazioni Unite hanno messo in campo per combattere la peste del nuovo millennio.
di Paolo Manzo
Poteva essere il primo vertice dei leader dei Paesi a rischio Aids, la Conferenza mondiale di Bangkok, dall?11 al 16 luglio. Accesso per tutti (questo il titolo del meeting thailandese sulla sindrome da immunodeficienza acquisita) prevedeva la partecipazione dei capi di Stato di Thailandia, Brasile, Cina, India, Nigeria, Russia e Uganda, ossia alcuni tra i Paesi più colpiti dal flagello dell?Aids e tra i più interessati alla risoluzione dell?annoso problema dell?importazione dei farmaci generici, che il Wto ha bloccato il 30 agosto dell?anno scorso. Poteva, ma non è stata sfruttata a dovere dai diretti interessati: solo l?ugandese Museveni con l?ospitante primo ministro thailandese hanno risposto all?appello del segretario generale dell?Onu, Kofi Annan, confermando la loro presenza a Bangkok. Lula e tutti gli altri hanno preferito starsene a casa loro.
Doveva essere il grande strumento per combattere l?Aids: multilaterale, finanziato dai Paesi ricchi, aperto alle donazioni dei privati, decisivo per i tre milioni che ogni anno muoiono per la sindrome da immunodeficienza acquisita e decisivo per dimostrare ai Paesi del Sud del mondo che l?Occidente si occupa anche dei loro problemi. Già, perché i cinque milioni di persone che ogni anno contraggono l?Aids provengono quasi tutti dai Paesi poveri di Africa e Asia. Doveva essere questo il Global Fund o Fondo globale per la lotta all?Hiv/Aids, tubercolosi e malaria (Gfatm) lanciato al G8 di Genova, nel luglio del 2001, da Silvio Berlusconi e fortemente voluto da Annan, che da anni si batteva per creare una partnership innovativa tra pubblico e privato al fine d?incentivare la raccolta di risorse per la lotta all?Aids.
Tre miliardi di dollari contro i 15 di Bush per l?Africa
A tre anni di distanza dalla sua nascita, può essere fatto un bilancio positivo del Global Fund o rischia – come la Conferenza di Bangkok – di essere un palco senza protagonisti, ossia un Fondo senza fondi? Partiamo dalla fine: il 30 giugno scorso si sono chiusi i lavori del quarto round per l?approvazione delle proposte da parte del consiglio direttivo del Fondo globale. Gli importi allocati dagli Stati donatori (che saranno erogati tra qualche mese, alla firma degli accordi di finanziamento) sono stati di 968 milioni di dollari che, sommati a quanto raccolto per finanziare i precedenti tre round, porta il totale a tre miliardi di dollari, per un totale di 307 fondi di garanzia di cui beneficeranno 128 Paesi. Non tantissimo, se si confronta quest?importo con i 15 miliardi di dollari stanziati da George W. Bush nel President?s Emergency Plan for Aids relief (Pepfar) per i 14 Paesi più colpiti dell?Africa e dei Caraibi, che ne godranno nei prossimi cinque anni. Uno stanziamento tutto incentrato sul piano bilaterale, ossia tra gli Stati Uniti e il Paese che riceve il finanziamento. Il tramite? UsAid, l?agenzia governativa per la cooperazione allo sviluppo made in Usa, e non il Global Fund multilaterale su cui ha puntato molto anche l?Italia, che contribuisce da sola al 10% dei finanziamenti totali.
Ma torniamo al Pepfar, annunciato da Bush durante il suo discorso agli Stati dell?Unione lo scorso anno, che rappresenta il più grande impegno economico dell?amministrazione a stelle e strisce su una sola malattia: l?Aids. Il piano statunitense prevede che, entro il 2008, Washington consegni dieci miliardi di dollari Usa ai governi (si badi bene, direttamente ai governi) di Botswana, Costa d?Avorio, Etiopia, Guyana, Haiti, Kenya, Mozambico, Namibia, Nigeria, Ruanda, Sud Africa, Tanzania, Uganda e Zambia. Altri quattro miliardi di dollari saranno usati dagli Usa per acquistare antiretrovirali a basso costo, farmaci salvavita e distribuirli nelle zone più remote dell?Africa, mentre il restante miliardo (sui 15 stanziati) servirà a finanziare il Fondo, ossia 200 milioni di dollari l?anno.
Davvero poco, se solo si considera che il Global Fund ha ancora bisogno di 2,5 miliardi di dollari per finanziare i progetti del 2005 (quelli del 2004 hanno ottenuto, con l?ultimo round, tutta la copertura finanziaria) e che, nella riunione ginevrina del 30 giugno, il consiglio direttivo non ha affrontato il tema. «Di questo siamo preoccupati», spiega a Vita Paola Giuliani di ActionAid International Italia, tra le ong leader nell?analisi del funzionamento del Gfatm nel nostro Paese, «come siamo preoccupati sulla governance, dal momento che tutte le richieste per far funzionare meglio i Meccanismi di coordinamento a livello Paese (Ccm) sono state approvate solo come raccomandazioni senza carattere vincolante, come avremmo voluto noi per garantire una reale partecipazione della società civile». Già, perché a parte il problema annoso dei finanziamenti da parte dei Paesi ricchi, che arrivano con il contagocce (una potenza come la Germania ha versato, nel biennio 2001-2002, meno di 12 milioni di dollari), dobbiamo ammettere che il meccanismo del Global Fund, almeno sulla carta, è tra i più democratici in assoluto.
Sulla carta? Una struttura molto democratica e flessibile
La struttura, infatti, è ?bottom up?, ossia parte dal basso verso l?alto e, conferma la Giuliani, «è fortemente inclusiva e democratica, proprio grazie al ruolo centrale dei Ccm, gruppi che sono espressione delle esigenze locali». L?innovatività del Global Fund, infatti, è che i contenuti dei progetti non sono decisi dal Board, bensì dai Ccm presenti in ogni Paese con problemi di Aids, malaria e/o tbc. Sono loro a presentare i progetti, che poi sono valutati a Ginevra, dove il Fondo globale ha la sede centrale. All?interno dei Ccm sono presenti – oltre a esperti dei ministero della Sanità dei diversi Stati – esponenti della società civile locale, ong e le comunità delle persone malate.
«In base alle raccomandazioni dell?ultimo Board, almeno il 40% del Ccm dev?essere espressione della società civile locale, mentre nelle linee guida si precisa che il Ccm deve rappresentare le differenti constituencies del Paese», spiega a Vita Michele Romano, direttore di Coopi e coordinatore dell?Osservatorio italiano per l?azione globale contro l?Aids. Altro plus del Global Fund è la sua struttura, assai più snella di un?agenzia ?tradizionale? dell?Onu, come ad esempio l?Oms. «A livello di tempi, dalla presentazione di un progetto alla sua implementazione via Global Fund», chiarisce la Giuliani, «passano a volte poco più di 12 mesi. Un record se lo confrontiamo agli anni necessari, invece, per veder partire i progetti delle agenzie Onu più strutturate».
L?Italia, dicevamo, è tra i principali Paesi donatori del Global Fund e con 108,6 milioni di dollari versati nel biennio 2001-2002 e 106,5 nel 2003, il nostro Paese è secondo solo agli Usa. Michele Romano spiega così l?impegno di Roma e Washington: «La politica di puntare tutto sul Global Fund dà una gran visibilità, ma è tipica dei fanalini di coda. Nella cooperazione allo sviluppo, del resto, l?Italia è il penultimo Paese al mondo, e precede solo gli Stati Uniti. Ciononostante sarebbe bene che il nostro Paese mantenesse il ruolo di leadership che attualmente ha nel Global Fund, confermando il contributo per il 2004 (che deve essere versato entro il 31 luglio) e salvaguardando per i prossimi anni l?impegno internazionale assunto a Genova 2001».
G8: quante promesse non mantenute dopo Evian
Certo è che, a un anno da Evian, quando il G8 riconfermò di ridurre del 25% il numero dei giovani colpiti da Aids entro il 2010, di sostenere il Global Fund e di riformare le regole a tutela della proprietà intellettuale in sede di Wto per garantire l?accesso e l?esportazione dei farmaci, il bilancio della lotta all?Aids appare deficitario: 700mila bambini si sono ammalati di Aids negli ultimi 12 mesi, portando il numero di giovani colpiti dall?epidemia a 2,5 milioni; oggi 5,5 milioni di malati di Aids non hanno accesso alle cure essenziali, mentre i programmi bilaterali di lotta all?Aids – come quello di Bush – riducono l?efficacia finanziaria e politica delle iniziative multilaterali. Proprio come il Global Fund.
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