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L’ossessione dei 5 Stelle contro la riforma del Terzo settore
In attesa dell'arrivo in Aula del testo prosegue il dibattito in commissione Affari Sociali. Protagonisti ancora una volta i deputati grillini con argomentazioni spesso discutibili e preconfezionate. Eccone una piccola antologia
di Redazione
Poco o nulla sono valsi in queste settimane gli apprezzamenti e gli inviti “a fare presto” della grande maggioranza dei rappresentanti del mondo del non profit e dell’economia civile (fra i tanti qui gli interventi del presidente delle Acli Gianni Bottalico del numero uno dell’associazioni delle Fondazioni di origine bancaria Giuseppe Guzzetti , del portavoce dell’alleanza delle cooperative sociali Giuseppe Guerini, del presidente di Anpas Fabrizio Pregliasco e della Conferenza nazionale degli enti del servizio civile). Per il Movimento 5 Stelle la Riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e del servizio civile universale rimane un bersaglio politico da abbattere. Malgrado tutto e a prescindere da tutto. Quasi un’ossessione.
Il dibattito (davvero povero, per essere onesti) di questi giorni in cui il provvedimento è all’esame dei deputati in terza lettura in Commissione Affari Sociali (l’approdo in Aula è stato calendarizzato per il 23 maggio) conferma ancora una volta che, o due anni di dibattito pubblico (compreso un incontro con Vita a chi ha partecipato uno dei big del Movimento, Alessandro Di Battista, vd locandina nella foto di apertura) non hanno scalfito le inossidabili certezze a cinque stelle: la riforma non s’ha da fare.
Tre i chiodi si cui si sono incaponiti i deputati Massimo Baroni e Giulia Di Vita.
Il primo è la Fondazione Italia Sociale. Per Di Vita l’istituzione della Fondazione è uno dei punti più critici perché «nata da un progetto di Vincenzo Manes il quale è esperto in materia finanziaria ma non in quella sociale». Naturalmente è lecito pensare che questo ente non sia una strumento adatto, ma certo non si puà dire che l’ideatore di Fondazione Dynamo e Dynamo camp) non mastichi di sociale. Sul tema Baroni gioca la carta delle legalità, un evergreen: «La Fondazione rischia di costituire esclusivamente una fonte di finanziamento per lauti stipendi da erogare ai membri dei futuri organi direttivi, con posti probabilmente riservati a politici “trombati”, senza peraltro prevedere controlli adeguati». Lo psicologo americano Carl Rogers sosteneva che «la tendenza a giudicare gli altri è la più grande barriera alla comunicazione e alla comprensione»…
Con il provvedimento in esame, si favorisce una concorrenza scorretta delle imprese sociali ai danni degli altri imprenditori
Massimo Enrico Baroni
Il secondo bersaglio è (naturalmente) l’impresa sociale. Baroni sottolinea che« con il provvedimento in esame, si favorisce una concorrenza scorretta delle imprese sociali ai danni degli altri imprenditori spostando allo stesso tempo il Terzo settore verso la ricerca del profitto e determinate forme di aggregazione, a danno dei soggetti di dimensioni ridotte». La Di Vita rincara sottolineando «la mancata previsione del divieto totale di distribuire gli utili per l'impresa sociale, il fatto che non sia stata superata la segnalazione dell’antitrust sul rischio di concorrenza sleale, l'assenza di controlli effettivi ed efficaci». Le cose non stanno proprio in questi termini considerato che la riforma stabilisce «forme di remunerazione del capitale sociale che assicurino la prevalente destinazione degli utili al conseguimento dell’oggetto sociale, da assoggettare a condizioni e comunque nei limiti massimi previsti per le cooperative a mutualità prevalente, e previsione del divieto di ripartire eventuali avanzi di gestione per gli enti per i quali tale possibilità è esclusa per legge, anche qualora assumano la qualifica di impresa sociale». Se invece l’obiettivo dei pentastellati è quello di minare i principi istitutivi delle cooperative a mutualità prevalente in nome della concorrenza da parte di imprese profit come si potrebbe intendere dai loro interventi allora converrebbe dichiararlo apertamente. Ne guadagnerebbero in trasparenza e comprensibilità le loro argomentazioni.
Ci sono incentivi per favorire la costituzione di reti, per questo le piccole realtà saranno penalizzate
Giulia Di Vita
Terzo punto: la difesa dei piccoli. Secondo la Di Vita «sarebbero penalizzate le piccole associazioni, essendo previsti incentivi per creare reti». Assioma originale, ma di difficile comprensione. A meno di non voler sostenere che “reti” significa “fusioni”, ma qui entreremmo nel campo della fantasia. Stando alla realtà dell’articolato ha avuto gioco facile in Parlamento il sottosegretario Luigi Bobba a replicare che «con riferimento alle critiche avanzate circa una presunta minore attenzione verso le organizzazioni di minori dimensioni, la scelta di promuovere le reti è volta, al contrario, a valorizzare le realtà più piccole che altrimenti si troverebbero in una situazione di carenza di rappresentanza nelle relazioni istituzionali».
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