Volontariato
L’ospitalità fondamento della nostra civiltà
Il dovere di ospitalità è il muro maestro della civiltà occidentale, e l’abc dell’umanità buona. Nel mondo greco il forestiero era portatore di una presenza divina. Sono molti i miti dove gli dèi assumono le sembianze di stranieri di passaggio. Un intervento di Luigino Bruni
Il dovere di ospitalità è il muro maestro della civiltà occidentale, e l’abc dell’umanità buona. Nel mondo greco il forestiero era portatore di una presenza divina. Sono molti i miti dove gli dèi assumono le sembianze di stranieri di passaggio. L’Odissea è anche un grande insegnamento sul valore dell’ospitalità (Nausicaa, Circe…) e sulla gravità della sua profanazione (Polifemo, Antinoo). L’ospitalità era regolata nell’antichità da veri e propri riti sacri, espressione della reciprocità di doni. L’ospite ospitante era tenuto al primo gesto di accoglienza e, nel congedarlo, consegnava un "regalo d’addio" all’ospite ospitato, il quale dal canto suo doveva essere discreto e soprattutto riconoscente.
L’ospitalità è un rapporto (ed è bello che in italiano ci sia un’unica parola, ospite, per dire colui che ospita e colui che è ospitato). Al forestiero che si accoglieva a casa non veniva chiesto né il nome né l’identità, perché era sufficiente trovarsi di fronte a uno straniero in condizione di bisogno affinché scattasse la grammatica dell’ospitalità. La reciprocità delle relazioni d’accoglienza era alla base delle alleanze tra persone e comunità, che componevano la grammatica fondamentale della convivenza pacifica tra i popoli.
La guerra di Troia, l’icona mitica di tutte le guerre, nacque da una violazione dell’ospitalità (da parte di Paride). La civiltà romana continuò a riconoscere la sacralità dell’ospitalità, che veniva anche regolata giuridicamente. La Bibbia, poi, è un continuo canto al valore assoluto dell’ospitalità e dell’accoglienza dei forestieri, che, non di rado, vengono chiamati "angeli". Il primo grande peccato di Sodoma fu rinnegare l’ospitalità a due degli uomini che erano stati ospiti di Abramo e Sara alle Querce di Mamre (Genesi, 18-19), e uno degli episodi biblici più raccapriccianti è una profanazione dell’ospitalità – lo stupro omicida dei beniaminiti di Gabaa (Libro dei Giudici, 19). Il cristianesimo raccolse queste tradizioni sull’ospitalità, e le interpretò come una declinazione del comandamento dell’agape ed espressione diretta della predilezione di Gesù per gli ultimi e i poveri: «Ero straniero e mi avete accolto» (Matteo 25,35).
In quelle culture antiche, dove vigeva ancora la "legge del taglione", dove non era riconosciuto quasi nessuno dei diritti dell’uomo che l’Occidente ha conquistato e proclamato in questi ultimi secoli, l’ospitalità fu scelta come prima pietra di civiltà dalla quale è poi fiorita la nostra. In un mondo molto più insicuro, indigente e violento del nostro, quegli antichi uomini capirono che l’obbligo di ospitalità è essenziale per uscire dalla barbarie. I popoli barbari e incivili sono quelli che non conoscono e non riconoscono l’ospite. Polifemo è l’immagine perfetta dell’inciviltà e della disumanità perché divora i suoi ospiti invece di accoglierli. L’ospitalità è la prima parola civile perché dove non si pratica l’ospitalità si pratica la guerra, e si impedisce lo shalom, cioè la pace e il benessere.
Smettiamo allora di essere civili, umani e intelligenti quando interrompiamo la pratica antichissima dell’ospitalità. E se l’ospitalità è il primo passo per entrare nel territorio della civiltà, la sua negazione diventa automaticamente il primo passo per tornare indietro verso il mondo dei ciclopi, dove regnano solo la forza fisica e l’altezza.
I popoli saggi sapevano che l’ospitalità conviene a tutti, anche se individualmente costa a ciascuno. Per questo occorre proteggerla e parlarne molto bene, se vogliamo che resista nei tempi degli alti costi. La reciprocità dell’ospitalità non è un contratto, perché non c’è equivalenza fra il dare e il ricevere, e soprattutto perché il mio essere accogliente oggi non genera nessuna garanzia di trovare accoglienza domani quando ne avrò bisogno.
L’ospitalità è un bene comune, e quindi fragile. Come tutti i beni comuni viene distrutto se non è sostenuto da una intelligenza collettiva più grande degli interessi individuali e di parte. Ma come tutti i beni comuni, una volta distrutto il bene non c’è più per nessuno ed è quasi impossibile ricostruirlo.
L’Europa è nata dall’incontro tra umanesimo giudaico-cristiano e quello greco e romano fondati sull’ospitalità. Ma in Occidente è sempre rimasta viva anche l’anima beniaminita e polifemica, dominante per lunghi periodi, sempre bui. È l’anima che vede gli ospiti solo come minacce o prede. Oggi questo spirito buio, incivile e non-intelligente sta riaffiorando, ed è urgente esercitare il prezioso esercizio del discernimento degli spiriti. Evitando, ad esempio, di credere a chi ci racconta che Polifemo ha divorato i compagni di Ulisse perché sarebbero stati in troppi a bordo e la nave poteva affondare nel ritorno verso Itaca, o che i beniaminiti volevano incontrare gli ospiti di Lot solo per controllarne i documenti. Il riconoscimento del valore e del diritto dell’ospitalità viene prima di tutte le politiche e le tecniche per gestirla e renderla sostenibile.
L’ospitalità è uno spirito, uno spirito buono. Quando non c’è si vede, si sente. Gli spiriti vanno conosciuti, riconosciuti e chiamati per nome, e quelli cattivi vanno semplicemente cacciati via. Nella casa degli umani se non c’è posto per l’altro non c’è posto neanche per me. Sta scritto: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo» (Lettera agli Ebrei).
Pubblicato su Avvenire il 19 agosto
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