Cultura
L’Opus? Non è roba da ricchi
Caniato, giornalista di studi cattolici, spiega perchè L'Opus non è un'associazione riservata ai potenti
di Redazione
Se qualcuno chiedeva a monsignor Josemaría Escrivá lumi sulla verità dell?influenza dell?Opus Dei in Spagna o in qualche altra nazione, candidamente egli rispondeva: «Sarebbe ingratitudine verso Dio, che con tanta generosità benedice il nostro lavoro, non riconoscere che l?Opera influisce nella società» (Colloqui, Ares, p. 36). E poi subito precisava: «Avendo fini spirituali, d?apostolato, la natura di questa influenza è spirituale, apostolica».
Influenti perché
Sotto questo aspetto tutti i membri dell?Opus Dei dovrebbero essere ?influenti? nei desideri del fondatore, e questo non tanto a prescindere dal, ma proprio in virtù del loro stato. Infatti, dal momento che la sua istituzione non ha altro scopo se non quello di favorire la santificazione personale del lavoro, manuale quanto intellettuale, egli era solito ripetere: «Considero tanto ?influente?, tanto importante e necessaria la testimonianza di un mio figlio minatore tra i suoi compagni di lavoro, quanto quella di un rettore di università in mezzo ai professori del senato accademico».
E di fatto, rilevava Giuseppe Romano nel volume Opus Dei, chi come perché (San Paolo editrice) «vi sono in seno all?Opera tante iniziative per lavoratori manuali quante ve ne sono per professionisti e intellettuali». E ciò avviene in tutti i Paesi (più di 60) dove la Prelatura è presente.
Santificazione personale del lavoro, chiamata universale alla santità: è questa la sottolineatura e questo il dono dell?Opus Dei per la Chiesa a cavallo del Concilio Vaticano II e per gli uomini della contemporaneità: ogni persona è chiamata da Dio a essere santa, a vivere secondo perfezione la sua vocazione privata e professionale (poiché in questo risiede l?occasione di un incontro con Cristo) santificando con l?esempio, nell?amicizia, nel servizio, le persone che le vivono e le lavorano accanto.
Gli uomini comuni
Un impegno che i ?figli? (come amava chiamarli) di monsignor Escrivá hanno preso sul serio, finendo di conseguenza in più di un caso per eccellere nei loro àmbiti professionali. Ed è così naturale che, sin dai primi tempi (la fondazione dell?Obra risale al 1928), facciano notizia quei professori, dirigenti di azienda, giornalisti, vescovi, «perfino ministri», ben distinguibili nella vita pubblica che appartengono all?Opus Dei. Senza togliere nulla ai tantissimi (sono molti di più) uomini comuni (non nelle virtù) che si impegnano nella stessa realtà ecclesiale attraverso mansioni più umili, purtroppo molto meno appetite dai media.
Innaturale è, invece, che ancora oggi si mormori che l?Opus coltivi le élites culturali; che faccia le università per i figli dei ricchi; che i suoi membri operano in tutto il mondo godendo di una rete di servizi e di appoggi degna di una multinazionale se non di un?agenzia segreta? (riecco da un?altra angolatura il discorso sull??influenza?). Sciocchezze smentite dalla storia Sciocchezze smentite dalla storia (come dimostra anche Vittorio Messori in Opus Dei, un?indagine, Leonardo), ma rinfocolate dai giornali che, anziché trarre spunto per edificare i lettori, banalizzano la canonizzazione di padre Pio e del beato Josemaría in un?antitesi fittizia, giocata fra la povertà del primo e la mondanità del secondo.
Come spiegare ancora che l?Opera non persegue il successo, ma il servizio, a qualunque livello, alla Chiesa e agli uomini? E dire che l?avventura del santo di Barbastro (1902-1975) è incominciata proprio tra i poveri e gli infermi di Madrid. E dire che egli ha speso fiumi di parole (di cui molte scritte) nel raccomandare quel più pieno distacco dai beni materiali che tutta la sua vita testimonia.
La santità e gli euro
Si aggiunga allora un altro dato che possa, forse, scoraggiare i non pochi che sceglierebbero l?Opera per agevolarsi la carriera: tutti i membri della Prelatura, numerari, soprannumerari e aggregati, concorrono generosamente alle ingenti iniziative apostoliche e di carità promosse in tutto il mondo, riservando a se stessi quanto basta a una vita dignitosa. E anche questo perché l?obiettivo unico resta la santità, che non si acquisisce in euro.
Raccomandava il fondatore dell?Opera (cfr Cammino, nn. 630-638, Ares): «Se sei uomo di Dio, metti nel disprezzare le ricchezze il medesimo impegno che gli uomini del mondo mettono nel possederle». E poi precisava: «La vera povertà non consiste nel non avere, ma nel rinunciare volontariamente al dominio sulle cose». Quanto a padre Pio, ha lasciato scritto: «Si può guazzare nell?abbondanza ed essere distaccati» (Breviario, Rusconi, p. 69). Emblematica sintonia di vedute: dentro o fuori l?Opus Dei, il distacco è l?unico atteggiamento possibile per tendere al Cielo.
Riccardo Caniato
giornalista di Studi Cattolici
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