Cultura

L’open source può far risorgere l’Italia

Seconda Puntata: Francia e Germania hanno scelto Linux. Gabriele Paciucci, Sales & Marketing manager Sud Europa per Red Hat Linux: "Per il sistema Italia è un'opportunità"

di Riccardo Bagnato

Quale piattaforma verrà scelta per la pubblica amministrazione italiana? Si sceglierà l’open source o ci si rifugerà su Microsoft? Mentre della Commissione Open source non si sa ancora nulla, mentre il parlamento sigla con la casa di Bill Gates un accordo triennale, denominato ?enterprise agreement?, che prevede l’aggiornamento dell’intera gamma di soluzioni desktop per la Camera dei deputati, si moltiplicano le iniziative in favore del pluralismo informatico all’interno della pubblica amministrazione. Come quella di sabato 10 maggio, al Teatro Parenti di Milano, organizzata dal senatore Fiorello Cortiana, promotore del disegno di legge ?Norme in materia di pluralismo informatico sulla adozione e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici nella pubblica amministrazione?. Fra i relatori Robin Gross, direttrice di IPjustice, Stefano Rodotà, garante della privacy, e Carlo Formenti, direttore di quintostato.it.
Per ribadire l’importanza di un ruolo pubblico nell’ambito dell’information techonology, Carlo Formenti ha invitato il governo a riattivare quel tessuto di piccole e medie aziende “oggi, vero capitale di investimento per uno Stato che non voglia ridursi a cliente di beni di consumo”, mentre Stefano Rodotà ha sottolineato come, per mezzo di finanziamenti appropriati, lo Stato possa e debba limitare i danni che i monopoli privati di fatto generano, e garantire che un bene pubblico, come l’informazione al cittadino, rimanga di dominio pubblico.
Osservazioni che l’intervista a Gabriele Paciucci, Sales& Marketing manager Sud Europa per Red Hat Linux, riprende e ancor più chiaramente sviluppa: “Non è una questione di soldi per questa o quella azienda, in gioco c’è il sistema Italia”. La parola quindi a Red Hat. Nella prossima puntata, un contributo originale della Free Software Foundation Italia.

Red Hat (www.redhat.it), società fondata nel 1994, è oggi la più importante e riconosciuta azienda mondiale dedicata al software open source, con più di 500 impiegati e uffici dislocati in tutto il mondo. A Gabriele Paciucci, umbro, 30 anni, Sales& Marketing manager Sud Europa di Red Hat Italia, la parola per il secondo appuntamento dedicato alla sfida che contrappone il software proprietario a quello open source nella pubblica amministrazione.

Dott. Paciucci, attendendo i risultati della Commissione Open source ci potrebbe dire quale rapporto vede, dal suo osservatorio, fra pubblica amministrazione e tecnologia open source?

C’è in effetti una grossa richiesta da parte di governi, soprattutto europei, nei confronti di soluzioni open source, in particolar modo quando si parla di e-government (utilizzo delle nuove tecnologie da parte della Pubblica amministrazione per la creazione di servizi diretti a: informare i cittadini e collegare i dipendenti ndr). Ad esempio il governo inglese ha adottato un nostro prodotto open source di content management (sistema di gestione contenuti, ndr) per la creazione di portali della pubblica amministrazione locale. E ancora, alcuni ministeri italiani, nelle ultime settimane, hanno dimostrato lo stesso interesse. In Italia, la pubblica amministrazione, anche a seguito delle insistenze da parte di gruppi di pressione o di parlamentari come nel caso del senatore Fiorello Cortiana, si sta orientando verso l’adozione di soluzioni open source in generale, e Red Hat in particolare, perché Red Hat, al di là di tutto, è l’unica società fra le tante distribuzioni Gnu/Linux al 100 per cento open source.

In altri termini, forse più tecnici, ma ne abbiamo parlato nella scorsa intervista al Dott. Andrea Valboni, significa vendete prodotti accompagnandoli sempre con il proprio codice sorgente?

Sì, e i sorgenti sono sempre liberamente distribuibili. Come ad esempio l?applicazione adottata dal governo inglese, la Red Hat Enterprise Application, è scritta in Java (linguaggio open source). Che viene adottata da Deustche Post, Carrefour e molte altre aziende. Dove i nostri guadagni derivano dai servizi aggiuntivi, dal supporto che noi diamo. Tenga conto che questa è un?applicazione paragonabile ai vari altri prodotti utilizzati da anni da grandi aziende collocati di fascia alta.

Per sintetizzare quindi i modelli aziendali diversi fra una società open source e ad esempio Microsoft, si potrebbe dire che Microsoft punta sul prodotto e relative licenze e Red Hat sui servizi?

Certamente, Red Hat è una società di servizi, non è una società di prodotto. Ma secondo noi è il modello dell?Information technology ad essere di servizi. Pensi a IBM: il fatturato dei servizi di IBM ha superato da più di un anno quello dei prodotti. Per dirle che il futuro non è sul prodotto o sulla licenza, ma sui servizi. E questo vale anche per l?infrastruttura stessa commerciale italiana. Il fatturato Red Hat, ad esempio, lo deve soprattutto alla formazione, ai nostri centri di formazione, al supporto che noi diamo alle aziende, ed è dovuto ai servizi che noi aggiungiamo insieme ai nostri prodotti. Se lei va a vedere quanto un rivenditore può guadagnare dalle licenze Microsoft che vende, si renderebbe conto che a fine mese non potrebbe, lo stesso rivenditore, pagare i propri dipendenti. Per questo lui per primo, ad eccezioni di alcune concentrazioni, dà un valore aggiunto ai propri clienti per ricavare guadagni.

In concreto cosa vuol dire “valore aggiunto”?

Le faccio un esempio: quando lei acquista un prodotto Red Hat non acquista una licenza, ma un servizio di supporto che è intrinseco nel pacchetto che le vendiamo.

Si potrebbe dire che questo è un modo come un altro per aggirare i limiti commerciali, reali o presunti, della Gpl (“General Public Licence”: www.gnu.org/licenses/licenses.html ndr)?

No, perché comunque lei, quando ha acquistato una singolo software, può in seguito copiarlo, modificarlo e diffonderlo, in qualsiasi momento. Certo, non può chiedere a noi supporto sulle copie che non hanno un contratto di supporto che le leghi a noi, ma chiaramente anche noi dobbiamo guadagnare.

Quindi è d?accordo con il Dott. Valboni nel dire che Microsoft non guadagna sui servizi?

Ma, mi trova d?accordo nella misura in cui le ultime licenze Microsoft ci hanno fatto capire che stanno cercando di contenere la pirateria, per avere quanto più revenue possibile dalle licenze.
Ma il problema è che il futuro dell?Information Technology è sui servizi, sul terziario, e non sul prodotti. Non solo perché la licenza va bene ormai solo ai produttori come Microsoft. Ma, di nuovo, se lei chiedesse a un distributore fra i più grandi, le spiegherebbe come la licenza sul prodotto non ha margine, quindi offre servizi. Questo è il futuro.

E infatti attraverso i vari programmi di Shared Code che Microsoft ha messo in campo per fasce e tipologie di utenti diversi, viene aggiunto il supporto, come è il caso del GSP per i Governi dove Microsoft offre un vero e proprio supporto tecnico e la possibilità di vedere il codice sorgente.
Di fronte al rischio che tale codice venga in qualche modo diffuso, il Dott. Valboni ci ha spiegato come ciò sia già avvenuto e che ciò sta dimostrare come il mondo open source non sia così innovativo, ma tenda piuttosto ad emulare quanto fa Microsoft, cosa ne dice?

Guardi, fortunatamente non esiste un solo sistema grafico, o un solo ambiente, ne esistono tantissimi. Alcuni, certo, aspirano ad essere simili visivamente a Windows di Microsoft. Bisogna dar atto a Microsoft come ad Apple di aver reso estremamente ergonomico il desktop. Ma è un semplice discorso di interfaccia o look&feel, ripreso da alcune distribuzioni desktop Linux per rendere il più semplice possibile all?utente il salto da Microsoft a Linux.

Quindi lei “rimanda al mittente” l?accusa di riverse engeneer da parte delle aziende open source nei confronti dei prodotti Microsoft?

Ma guardi, l?innovazione nel mondo open source è molto particolare. Non posso ad esempio escludere che qualche programmatore Microsoft abbia nel proprio tempo libero scritto dei pezzi di codice open source, che poi sono stati integrati al sistema operativo alternativo di turno.

Ma non è forse questo il senso delle parole del Dott. Valboni? Quello che lei ha descritto è la fuoriuscita di un sapere dall?ambito Microsoft nel mondo open source ?bypassando? eventuali vincoli professionali…

… Ma, come ben sa non sono un dipendente Microsoft e non conosco le loro policy aziendali. Quello che posso dirle è che, essendo dipendente Red Hat, se partecipo ad attività del genere, non solo posso farlo, ma sono supportato dalla mia azienda.
A questo punto direi semplicemente a Microsoft, se sono così avanti, di non aver paura e offrire il proprio codice sorgente a tutto il mondo, tanto comunque loro saranno sempre avanti…
Dal punto di vista dell?Information technology i sistemi aperti sono il futuro. Tanto più che è ormai eccessivamente oneroso il mantenimento di sistemi operativi chiusi e rispettosi degli standard informatici (lo standard è un documento elaborato attraverso il consenso delle parti interessate ed approvato da uno o più enti riconosciuti, e che contiene specificazioni tecniche od altri criteri specifici che debbono essere utilizzati come regole, linee guida o caratteristiche specifiche perché materiali, prodotti, processi e servizi siano adatti al loro scopo ndr, per maggiori informazioni: www.w3c.it ndr).
Vede, l?open source non è un modello di business, ma un modello tecnologico. Proprio per questo tante aziende, tanti enti governativi e soprattutto la società civile dovrebbe scommetterci, per poter essere in grado di essere liberi nei confronti di un singolo fornitore. Ed essere sicuri di non far la fine di alcuni programmi o situazioni, che rendono delle volte impossibile il libero accesso alle fonti di informazione per determinate persone.
Pensi ad esempio alla firma digitale (il risultato finale di un complesso algoritmo matematico che permette di firmare un documento informatico con la stessa validità di una firma autografa ndr): dato che non è stata sviluppata in open source ogni provider ha il proprio sistema, e in questo momento impedisce di fatto… di averla! Se si fosse sviluppata in open source questo non sarebbe successo.

Una delle osservazioni più ricorrenti di Microsoft, quando si parla di open source, è l?accento che pone sulla forma di licenza, ovvero la Gpl, con cui vengono rilasciati i software liberi, e che impedirebbe qualsiasi tipo di commercializzazione, impedendo di fatto l’esclusività di un prodotto…

Ma quello che dice la licenza Gpl innanzitutto è il contrario: intende invece tutelare il copyright. La licenza Gpl tutela il fatto che io, sviluppatore, ho sviluppato quel software e che, in sostanza, le persone o gli sviluppatori che potranno o vorranno apportarvi modifiche, sono obbligati a lasciare la linea del copyright invariata.
Chiaramente la Gpl tutela l’autore, ma tutela anche il lavoro. Infatti, qualsiasi software sviluppato per mezzo di codice protetto dalla General Public Licence dovrà essere a sua volta rilasciato sotto Gpl. Per questo si chiama licenza aperta, perché nessuno, a cascata, può chiuderla.
Diverso il caso ad esempio della licenza Freebsd [www.gufi.org] a cui il Dott. Valboni fa riferimento nella sua intervista, dove non esiste questa clausola o vincolo, tale per cui chiunque potrà utilizzare un codice informatico open source, svilupparlo in proprio, e rilasciarlo con una licenza commerciale chiusa. Nel caso io sia stato lo sviluppatore di quel codice non comparirò da nessuna parte e il mio lavoro sarà motivo di guadagno di una azienda terza, con cui io potrei non avere nessun rapporto o semplicemente non sapere mai che l?ha utilizzato.
A volte, poi, si fa anche una certa confusione dicendo che con la Gpl si regala il software, che il software è gratis. Ma non è vero. La Gpl stessa dice che se io ho fatto il software, posso venderlo.
La Gpl non è un modo per rendere free of charge, gratis, un determinato software, ma serve per tutelare il diritto di uno sviluppatore che ha deciso di rendere pubblico il proprio codice, e di fare in modo che questo rimanga libero, e quindi di preservare il diritto di essere sempre presente nelle fasi successive di sviluppo di quel determinato codice o software.
Per questo, spesso, gli sviluppatori di ?codice libero? cedono il proprio copyright alla Free Software Foundation [www.gnu.org/fsf/fsf.it.html]. Infatti, se qualche software house effettua un?operazione illecita, cioè utilizza codice libero coperto dalla General Public Licence accompagnandolo da una licenza proprietaria e perciò chiudendolo, sarà la Free software Foundation, che ha sede in tutto il mondo, ad intraprendere le dovute azioni legali nei confronti della software house a difesa dell?autore. Autore che può essere, non so, un ragazzino di 18 anni australiano che non sa cosa sta avvenendo del suo codice, o che non ha le possibilità economiche di confrontarsi con una azienda.

E questo è già successo? Cioè la Free Software Foundation ha già impugnato la General Public Licence costringendo la software house di turno in tribunale?

Certo, è già successo. Nel 99% dei casi hanno successivamente patteggiato adducendo il fatto che la software house non conosceva la Gpl.

Fino a che punto però Linux è un problema per Microsoft e fino a che punto è un necessario competitor a un monopolio come quello di Redmond?

Ma, a dire il vero non ci sentiamo innanzitutto competitor di Microsoft. In questo momento, se non in qualche nicchia di mercato per quanto riguarda i sistemi operativi per desktop, il resto del mercato non ci vede in concorrenza. Noi manchiamo di suite come il pacchetto office (Word, Excel, Power Point, Access ndr), anche se ci sono ottimi software come Open Office [www.openoffice.org], ma non rappresentano ancora una valida alternativa al pacchetto office di Microsoft.
Cambia il discorso nel corporate desk, cioè ad esempio lo sportello dell?agenzia bancaria, il piccolo server dell?agenzia di assicurazione, ma non sono grandi fascie di utenza.
Per quanto riguarda viceversa la fascia non più dell?utente finale, il desktop, ma i server, quello che noi facciamo è in questo momento è di avere una leadership nei sistemi Unix (di cui Linux è un prodotto derivato ndr).
Chiaramente il mercato dei server per quanto riguarda Microsoft è relativo alla necessità del cliente, di avere quella determinata applicazione che richiede quel sistema operativo. Nel mondo delle telecomunicazioni o nelle operazioni cosiddette mission critical Linux viceversa è leader, e semmai si confronta con aziende come Sun o Ibm.
Tutto ciò però dipendentemente dalle applicazioni di cui il cliente ha bisogno; se queste sono scritte per sistemi operativi proprietari come Windows, è ovvio che l?eventuale portabilità o migrazione ad un sistema operativo open source diminuisce la nostra competitività e aumenta i costi. Detto questo nell?80% dei casi le richieste che ci vengono rivolte sono di migrazioni da sistemi Unix a Linux.

E infatti, lo stesso dott. Valboni osservava come probabilmente le prime vittime dell?ascesa di Linux non sono i sistemi operativi proprietari come Windows, ad esempio, ma i rivenditori Unix…

No, non sono la vittima, anzi, sono riusciti a vedere un barlume di luce in fondo al tunnel!
Uno dei limiti di Unix, infatti, è che il sistema operativo Unix è vincolato ad un particolare hardware, ovvero Unix lo si puo? installare solo su determinate macchine, mentre Linux è totalmente portabile e quindi installabile su qualsiasi macchina. In questo caso, dunque, Linux ha permesso a moltissimi di cambiare, e passare a un sistema simile a Unix, senza dover rivoluzionare le proprie abitudini.

Fra qualche settimana o giorno saranno presentati i risultati della Commissione ?Open Source?. La partita che si sta giocando sulla Pubblica amministrazione è quindi ancora incerta. In Francia la Pubblica amministrazione ha scelto Mandrake [www.mandrake.com], in Germania Suse [www.suse.com], tutte distribuzioni Gnu/Linux, e in Italia?

Ma, innanzitutto non direi che in Francia ha vinto Mandrake o Suse, ma che ha vinto Gnu/Linux e soprattutto la Pubblica Amministrazione. E aggiungo, commesse di questo tipo non rappresentano per delle aziende come le nostre un rientro economico significativo, tant?è che la stessa Mandrake non sembra aver giovato particolarmente di ciò (il 15 gennaio 2003 Mandrake ha annunciato di aver presentato una “dichiarazione di cessazione dei pagamenti”: si tratta di un concordato con il tribunale francese che nei prossimi mesi permetterà all’azienda di continuare le sue attività in un regime di amministrazione controllata evitando così la bancarotta ndr).
Ha vinto la Pubblica Amministrazione perché malgrado ad esempio le condizione di salute della singola azienda o fornitore, a questo punto, poiché ha adottato sistemi operativi aperti, si trova a poter riutilizzare le proprie applicazioni comunque e/o migrare facilmente ad un altro sistema operativo aperto.
Sicuramente in Italia non vincerà Red Hat, Suse o Mandrake. Ma spero vinceranno sia la Pubblica amministrazione sia tutti i programmatori e sviluppatori e rivenditori che lavorano con la Pubblica amministrazione, potendo utilizzare questo nuovo sistema di sviluppo.
Se poi Red Hat potrà partecipare a questo progetto, offrendo i propri prodotti, consulenze, anche per la disponibilità che ha come copertura mondiale per la Pubblica amministrazione italiana, ne saremo contenti, ma non mi aspetto dal punto di vista del fatturato delle entrate consistenti. Me ne aspetto di più da un punto di vista dell?importanza e del valore che tale decisione darebbe. Come ad esempio è accaduto in occasione della commessa vinta da Red Hat in Inghilterra di cui le parlavo. Non ha rappresentato quella inglese e non rappresenterebbe quella italiana la commessa risolutrice per una azienda come la nostra.

Ma se lei dovesse spiegare perché il Governo italiano dovrebbe adottare una soluzione open source per la pubblica amministrazione cosa direbbe?

Dico che è un?opportunità enorme per far crescere il mercato dell?Information Techonolgy italiano, sviluppando progetti open source. Quelle risorse economiche dovute alle licenze proprietarie potrebbero essere utilizzate per lo sviluppo da parte di Software house italiane di prodotti open source.
Noi, in Italia, avevamo una bellissima azienda che sviluppa software che si chiamava Olivetti. Oggi non abbiamo oggi che piccole realtà colme Zucchetti ad esempio o Teamsystem. Però non abbiamo un sistema industriale italiano di sviluppo di codice. Siamo perennemente presi dalle varie Accenture, EDS che portano codice d?oltreoceano. Se riuscissimo a sviluppare un?industria, magari con un modello diverso, e non come una volta per mezzo di una grande società come era Olivetti, ma con piccole realtà localizzate nella Pubblica amministrazione locale, questo ci darebbe modo di far rifiorire quello che sono i talenti italiani nel mondo del software.

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