Politica

L’Onu sporca i suoi soldi

Nel 2000 lancia il Global Compact per favorire il business etico tra le multinazionali. Ma nel portafoglio dell’organismo abbondano le azioni di imprese che si scontrano con i principi etici propugnat

di Christian Benna

A investire in modo socialmente irresponsabile i conti non sempre tornano. Lo sanno bene i dirigenti delle Nazioni Unite che nel 2000 hanno lanciato il Global Compact, una piattaforma con relative linee guida per favorire il business etico tra le multinazionali. E devono esserne convinti anche i 142mila funzionari (88mila partecipanti attivi e 54mila beneficiari) del fondo pensione Onu, i cui risparmi collocati sul mercato hanno reso nel 2005 oltre il 10% del valore iniziale. Molto meglio dei benchmark di riferimento (60% M. Stanley capital international world index e 40% Citigroup bond index), ma la crescita non è sufficiente a compensare lo squilibrio tra contributi versati dai lavoratori e assegni staccati ai pensionati. L?anno scorso il rosso è stato di 68 milioni di dollari. Poco male, si dirà, per carriere molto ben remunerate. Tuttavia qualcuno resta con l?amaro in bocca. Perché nel ricco portafoglio investimenti Onu (circa 29 miliardi di dollari), come peraltro dimostrato da una inchiesta dell?agenzia Bloomberg, abbondano aziende che non solo non aderiscono ai principi di responsabilità sociale promossi dal Palazzo di Vetro, ma anzi si vi scontrano apertamente. Un esempio su tutti è Wal-Mart. Il fondo pensione Onu investe 183 milioni di dollari nel colosso della grande distribuzione Usa, sempre sotto tiro per i salari da fame e i comportamenti anti sindacali. Altri 275 milioni sono depositati tra le braccia di Exxon Mobil, la super compagnia petrolifera che si oppone al Protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni di gas serra. L?Onu punta molto anche su Rio Tinto, la società britannica attiva nel settore minerario, al centro di mille polemiche per l?inquinamento dei suoi stabilimenti a Bougainville, in Papa Nuova Guinea. Nel paniere di azioni (60% del totale, il 27% è in obbligazioni) ci sono anche Anglo-American Plc, seconda compagnia mineraria al mondo, Phelps Dodge, Archer Daniels Midland, Newmont Mining Corp. Tutte società discusse per aver violato in diverse occasioni, con tanto di sanzioni pendenti, l?ambiente e la salute delle comunità in cui operavano, e i principi del Global Compact. E soprattutto ha destato sorpresa la presenza di Fortis, la banca belga finita nel mirino di un rapporto Onu del 2002 per un presunto coinvolgimento con i ribelli della Repubblica democratica del Congo, dove le Nazioni Unite hanno impegnato 17mila peacekeeper per mettere fine alla guerra civile. In una nota, Calvert Group, la più grande società Usa di fondi sri, sostiene che molte delle 400 compagnie del portafoglio Onu non rispondono ai loro criteri di screening etico. Azioni scorrette, che malgrado tutto non bastano a fare correre i rendimenti quanto i costi degli ex funzionari. E il campo di investimenti è tutt?altro che ecumenico. La ripartizione dell?imponente mole di denaro non si discosta di molto dalla provenienza dei finanziamenti per il mantenimento delle agenzie delle Nazioni Unite. L?adagio del «do ut des» risuona anche nei corridoi del Palazzo di Vetro. Dei 29 miliardi, ben 13 sono investiti in aziende nordamericane, 9 in Europa e 4 in Asia. Per il resto del mondo, invece, poche briciole. Solo 177 milioni in Africa, 446 in America Latina e 86 in Medio Oriente.


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