Formazione

L’Onu c’è ma non si vede

Mancano uomini e mezzi. Il bilancio delle ong dopo un anno di missione: «La responsabilità è degli stati donatori». Il Consiglio di sicurezza intanto rinnova il mandato

di Emanuela Citterio

Il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Onu) ha votato il rinnovo di un anno del mandato della forza di pace composta dai caschi blu dell’Onu e dell’Unione africana in Darfur, la regione occidentale del Sudan la cui popolazione è colpita da una guerra civile e una crisi umanitaria che, secondo le stime Onu, dal febbraio 2003 ha causato 300mila vittime civili e due milioni e mezzo di profughi. L’intesa è giunta al prezzo di un compromesso scomodo, la temporanea immunità per il presidente sudanese Omar al Bashir, accusato dalla Corte penale internazionale di aver ordinato lo sterminio di tre gruppi etnici nella regione. Quattordici Stati hanno votato a favore della missione congiunta Unamid (Onu più Unione africana), gli Stati Uniti si sono invece astenuti, criticando l’immunita ad al Bashir.


La missione è presente in Darfur dal gennaio scorso, ma finora solo un terzo della forza di peacekeeping è dispiegata sul terreno: 9mila uomini rispetto ai 26mila preventivati nella risoluzione Onu approvata nel luglio 2007. E finora sono caduti nel vuoto i reiterati appelli del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ai Paesi membri per dotare di adeguati mezzi la missione. Una delle necessità più urgenti è quella delle unità di trasporto e in particolar modo di 18 elicotteri di medio carico, senza i quali non è possibile controllare le aree colpite e proteggere i civili

LA DENUNCIA DELLE ONG

A denunciare il mancato impegno dei governi sono state in questi mesi soprattutto le organizzazioni non governative. Oggi alle 11 nella sala stampa di Montecitorio Italians for Darfur e le ong che hanno aderito alla Globe for Darfur coalition hanno presentato un dossier sul bilancio della missione Unamid dal quale emerge che «non è stato ancora fornito al contingente l’equipaggiamento necessario a tenere fede al proprio mandato e a stabilizzare la situazione nella regione sudanese, prima che si giunga a una soluzione definitiva». In una lettera aperta indirizzata al presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, e al ministro della Difesa, Ignazio La Russa, le ong chiedono all’Italia di contribuire con almeno 3 elicotteri, «un contributo minimo ma significativo per permettere ai peacekeepers di proteggere effettivamente i civili e sé stessi» si legge nella lettera. Il rapporto presentato a livello internazionale il 31 luglio, realizzato da un gruppo di esperti di aviazione e confermato da numerose organizzazioni per i diritti umani in tutto il mondo (tra le quali Italians for Darfur), segnala la disponibilità di elicotteri di molti paesi: per esempio i soli stati membri della Nato potrebbero fornire almeno 140 elicotteri adatti alla forza Unamid.

A livello internazionale un appello analogo è stato lanciato il 28 luglio da una cinquantina di organizzazioni non governative, riunite nel Darfur Consortium. «La gente del Darfur merita di più di vane promesse» ha detto in un comunicato Dismas Nkunda, portavoce dell’associazione delle ong, «la verità è dura ma semplice: il fallimento della comunità internazionale sta costando vite umane».
Darfur Consortium punta il dito contro il governo di Khartoum, che ha ostacolato il pieno dispiegamento di Unamid, il Consiglio di sicurezza dell’Onu, che «ha lasciato fare», e i paesi donatori che «non hanno tenuto fede alle loro promesse» di finanziare e fornire mezzi alla missione. Il dispiegamento di 19 unità di polizia (armate e addestrate) previste dall’operazione Unamid consentirebbe di tutelare i civili, sottolinea la relazione, mentre finora ne è stata inviata una sola e altre 11 unità attendono il via libera da Khartoum. Tuttavia, per le ong, i peacekeeper potrebbero fare di più anche con «i suoi attuali mezzi, seppur limitati». Le scorte per i civili che si allontanano dai campi sfollati in cerca di legna e i controlli all’interno dei campi si sono rivelati efficaci, sottolinea DC nello studio, tanto che bisognerebbe garantire una presenza 24 ore su 24 nei campi. Inoltre, bisognerebbe rafforzare i contatti tra peacekeeper e i leader delle comunità locali.


COLPA DELLA DEBOLEZZA DELL’ONU? GENTILI: CHI LO DICE E’ IPOCRITA

«È un’ipocrisia rigettare sull’Onu le responsabilità delle principali potenze internazionali, e anche africane in questo caso» afferma Annamaria Gentili, una delle più autorevoli africaniste italiane, interpellata da Vita.it. «Le Nazioni Unite sono accusate di debolezza, ma possono fare solo quello che è loro consentito da un mandato che deve essere sanzionato dal consiglio di sicurezza. Poi, quando si tratta di trovare i mezzi e mettere in campo le truppe, devono essere i Paesi membri a mettere a disposizione risorse finanziarie, cosa che è avvenuta sempre meno negli ultimi tempi».


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