Formazione

L’ontologia del telefonino entra nel tema di maturità

Per la prima prova sono stati scelti brani di Calvino, la frase di Malala sull'istruzione che cambia il mondo, l'immigrazione. La traccia tecnico-scientifica parla di smartphone e "vivere sempre connessi", con citazioni di Maurizio Ferraris. Noi l'abbiamo intervistato

di Sara De Carli

Secondo le prime indiscrezioni, la protagonista a sorpresa del tema di maturità 2015 è Malala Yousafzai, Premio Nobel per la Pace: è dedicato a lei il tema generale, che chiede di commentare la sua celebre frase «Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo». C’è poi l’immigrazione, con una traccia sul “Mediterraneo e le sfide del XXI secolo”, mentre per il tema di letteratura è uscito Italo Calvino, con "Il sentiero dei nidi di ragno" (la sua prima volta alla maturità). Nella traccia storica si parla di Resistenza mentre in quella scientifico-tecnologica di smartphone e della cultura del "sempre connessi", con materiali tratti da Maurizio Ferraris "Dove sei? Ontologia del telefonino" e Daniele Marini "Con smartphone e social è amore (ma dopo i 60 anni)."

Riproponiamo un’intervista a Maurizio Ferraris sul libro citato nel tema di maturità (Bompiani 2011), pubblicata da Vita nella serie “Le parole che cambiano”. Un dialogo disseminato di intuizioni che i cinque anni di storia recente – incluso l’avvento dei social networks – hanno amplificato e confermato.

Il nome italiano è il più sbagliato. Ci hanno visto giusto thailandesi e tedeschi, che lo chiamano «estensione della mano». Da un punto di vista filosofico, è il nome più azzeccato. Ma quale interesse può avere un telefonino per un filosofo? Per Maurizio Ferraris è lo strumento assoluto, l’utensile degli utensili, l’emblema di ciò che Heidegger chiama Zuhandenheit, l’essere a portata di mano, la caratteristica degli enti attraverso cui stiamo al mondo. Altro che telefono senza fili: il telefonino non ha solo rivoluzionato il nostro modo di comunicare, ma costruisce il nostro mondo sociale. Perché nel mondo sociale non conta tanto comunicare, quanto soprattutto registrare. L’ontologia oggi riparte da qui: «Essere e campo».

Un titolo ad effetto, ma non è un po’ esagerato?

Maurizio Ferraris: Di tutto ciò che riguarda l’essere ci accorgiamo nel negativo, nella mancanza. Pensi a ciò che succede quando non c’è campo. Panico. Ci sentiamo isolati e tagliati fuori dal mondo. Strano, perché dieci anni fa non c’era mai campo. Adesso invece quando spegni il telefonino, poi ti arrivano i messaggi che ti avvisano di tutti quelli che ti hanno chiamato: virtualmente non perdi una chiamata. Hai una specie di presenza totale: tu sei presente a tutti e tutti sono presenti a te. Questo ridefinisce il nostro Dasein, il nostro essere-nel-mondo, che si rivela come un essere-connessi. Il nostro essere dipende dal campo.

Vita: In effetti il telefonino regala l’ubiquità, una cosa non da poco.

Ferraris: Sì. Ha presente la pubblicità? «Tutto attorno a te». Che poi quello che ci interessa è «tutti attorno a te». La presentano come una cosa desiderabile, ma non credo lo sia. Dobbiamo preoccuparci di più del «Non c’è campo» o del «Non c’è scampo»? Molti studi dicono che il telefonino è un modo per essere perennemente sotto controllo, dalle telefonate che hanno come unico contenuto il «dove sei?» alle madri ossessive, alle intercettazioni. Sappiamo di come Proust tormentasse Albertine, e aveva un telefono fisso? Telefonino ed email producono la perdita della solitudine, in quanto fanno sì che uno possa interagire con il resto del mondo al ritmo di una interazione ogni cinque minuti. Può anche darsi che questo bombardamento comunicativo sia stimolante, però ricordiamoci che è solo un’illusione di presenza: non sono vere presenze, sono fantasmi.

Vita: In cos’altro il telefonino è assolutamente nuovo?

Ferraris: Nel carattere individuale dell’apparecchio. Il telefonino è mio in un senso così forte che io mi identifico con esso. Il telefono fisso è un oggetto semipubblico, è normale «pronto, famiglia Ferraris, c’è Maurizio, sì glielo passo»? Al telefonino invece risponde direttamente la persona. L’Unione europea ha deciso che quando cambi compagnia telefonica devi poter conservare il tuo numero: questo è indicativo del fatto che il telefonino mira a coincidere con l’identità di una persona. Quindi non sorprende che così tante funzioni si vanno unificando dentro al telefonino: carta di credito, carta d’identità, documenti, la nostra identità sociale, i nostri averi. Presto la firma digitale sarà delegata al telefonino. Questo significa che il telefonino sei tu, proprio tu. A questo punto è evidente come telefonino sia un nome inadatto, un vezzeggiativo che in realtà nasconde uno strumento infinitamente più potente del telefono fisso. Un altro caso di Davide che ha sconfitto Golia.

Vita: Così torniamo alla questione dell’appropriatezza del nome?

Ferraris: Telefonino è il nome più sbagliato, il più limitativo: esiste solo in Italia. Tra l’altro cellulare è ancora più fuorviante. Il telefonino non è un telefono a cui è stato staccato il filo. Se ci facciamo caso, parlare è ormai l’ultima cosa – o comunque una tra le meno rilevanti – che puoi fare con il telefonino. Principale è la funzione dello scrivere, che fa del telefonino un piccolo computer; scrivere non per comunicare, ma per registrare, il che trasforma il telefonino in agenda, sveglia, portafogli? La mano è lo strumento di tutti gli strumenti perché permette di fare tante cose, e il telefonino è il prolungamento della mano, ciò che sembra incorporare in sé tutti gli strumenti di cui la mano è capace di far uso.

Vita: Il telefonino è la chiave unica di accesso al mondo?

Ferraris: Per quanto riguarda l’accesso al mondo sociale, sì. Poi è chiaro che se provo a usare un telefonino come cacciavite non funziona.

Vita: Per lei la potenza del telefonino è nell’essere una macchina per scrivere. Contesta il primato dell’oralità?

Ferraris: Sì, anche se è difficile accorgersene. Ma è difficile perché è così da sempre, perché sta sotto gli occhi di tutti. Adesso impazza questa pubblicità del videofonino, ma secondo me gli unici due italiani che possono videochiamarsi sono la Marini e Cecchi Gori. Anzi, adesso non lo fanno più neanche loro? La gente normale – direi persino la gente per bene – ha pudore della propria immagine. Ed è dubbia l’idea che tu sei più presente a qualcuno attraverso la tua faccia. Prenda una lettera d’amore: è una presenza molto forte, che non sente per niente la mancanza della faccia. Il boom degli sms è stato assolutamente imprevisto: il primo sms è stato mandato nel 1992 dal computer di una compagnia telefonica al telefonino di un tecnico. Si pensava a una comunicazione interna, tecnica; invece oggi le persone comunicano via sms o via email tanto quanto a voce.

Vita: Come se lo spiega?

Ferraris: Sorprende solo perché c’è l’impressione che la gente non abbia voglia di scrivere, che la scrittura sia una cosa fredda e la comunicazione una cosa calda. Da Platone in poi noi siamo vittime di quello che Derrida definiva “logocentrismo”: il logos vero è quello che manifesti parlando, mentre la scrittura è un surrogato per quando non sei a portata di voce. Ma uno potrebbe dire che la scrittura non è un surrogato della parola, e che al contrario spesso parlare è solo un modo più veloce di scrivere, come nelle registrazioni delle lezioni universitarie. Tantissime volte noi scriviamo per registrare, non per comunicare. Gli estratti conti che ci arrivano dalla banca sono registrazioni, le prime forme di scrittura sono state registrazioni contabili. Il primato è della registrazione, non della comunicazione. Solo che la registrazione è talmente presente che non ci facciamo caso. A parte che poi bisogna capire: un talk show, un’immagine registrata, un messaggio lasciato in segreteria, è scritto o parlato? Dal momento che può essere ripetuto indefinitamente è di fatto uno scritto.

Vita: Il primato della scrittura quindi è dovuto al bisogno di registrare, non di comunicare?

Ferraris: Certo. È la registrazione che forma la nostra esperienza. Il comunicare è la punta di un iceberg di cose che non si comunicano. Tant’è che non siamo ancora stati capaci di trovare un’immagine per dire cos’è la mente se non la tabula bianca su cui scrivere e lasciare segni. A me fa sempre impressione quando si dice che siamo nell’era della comunicazione… Io non credo che noi comunichiamo più dei Sumeri: magari comunichiamo con più persone, o più lontano, ma non di più. E comunque comunicare viene sempre dopo un’infinità di altre operazioni tacite di registrazione, annotazioni di esperienze, emozioni, sensazioni, pensieri. Dentro la nostra testa è tutto un movimento di cose registrate. Il mito del comunicare è un mito ingigantito.

Vita: Quest’idea che il mondo sociale non si basa sulle relazioni e sulle comunicazioni ma su registrazioni però fa impressione. Come dire che il nostro mondo sociale si riduce a scontrini, ricevute, promemoria?

Ferraris: Anche lei manifesta il pregiudizio logocentrico. Ci sono gli scontrini, ma anche scommesse e promesse, titoli onorifici o titoli d’infamia, Nobel o anni di galera. Tutto questo è il mondo sociale, e non potrebbe esistere senza delle registrazioni. Anche la promessa è una registrazione, un fermare l’impegno che mi sono preso nei confronti di qualcuno perché l’altro possa richiamarmi alle mie responsabilità. C’è gente che è morta per dei trattati, cioè per dei pezzi di carta. I trattati sono pezzi di carta per uomini di carta, ma non nella realtà. Per degli impegni ci si gioca la vita.

Vita: Per gli impegni, non per il loro essere scritti…

Ferraris: L’impegno c’è solo nella misura in cui viene registrato. Pensi ad Amleto: lui gira sugli spalti e compare il fantasma del padre che dice: «Vèndicami». Amleto dice: «Certo. Annoterò nella tavoletta della mia memoria questo impegno. Lo giuro». Lo spettro risponde: «Adieu, adieu, adieu, remember me». Non puoi giurare se non ricordi. Sembra minimalistico, ma non è diverso da ciò che offre uno scontrino del supermercato.

Chi è Maurizio Ferraris

Maurizio Ferraris è nato a Torino nel 1956. Insegna all’Università dal 1982: ha insegnato prima Estetica, poi – a Torino – Filosofia teoretica. Dirige il Ctao -Centro interuniversitario di ontologia teorica e applicata. Nelle sue ricerche si è occupato di ontologia, ermeneutica ed estetica. Ha sviluppato una nuova posizione filosofica che può essere definita “ontologia critica”. Il suo ultimo libro (che continua la riflessione iniziata con “Ontologia del telefonino”) è “Mobilitazione totale” (Laterza 2015).

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