Politica

L’onorevole a peso d’oro

Il barbiere che guadagna più di bush Due politologi milanesi hanno fatto uno studio in cui confrontano i costi della politica in cinque Paesi europei. Il risultato è imbarazzante

di Redazione

Il barbiere del Senato, al cambio attuale, guadagna qualche spicciolo meno del presidente degli Stati Uniti: circa 190mila dollari annui invece che 200mila. In compenso guadagna assai più del segretario di Stato, Condoleezza Rice, del Lord Chamberlain della monarchia inglese, dei ministri tedeschi. E, infine, guadagna sei volte lo stipendio annuo lordo di un operaio italiano e quattro volte quello di chi scrive questo articolo (per trasparenza: 133mila euro contro 33mila circa). Ma lo ?scandalo? sta qui?

No, lo scandalo sta assai più in profondità, nel funzionamento della macchina dello Stato e, purtroppo, non ci sono soluzioni semplici. Possiamo partire dal costo della politica ma, se vogliamo schiarirci le idee, occorre riflettere su come siamo arrivati fin qui.

Cominciamo dalle cifre: i parlamentari guadagnano troppo? Usiamo le cifre che danno Cesare Salvi e Massimo Villone nella nuova edizione del loro eccellente libretto Il costo della democrazia. Un parlamentare percepisce un?indennità mensile di 12.434 euro, a cui si aggiungono 4.003 euro di diaria, per un totale di ?stipendio? di oltre 16mila euro per 12 mensilità. Già questi 195mila euro annui superano di gran lunga lo stipendio di Bush e fanno apparire come degli impiegati in mezzemaniche i giudici della Corte Suprema americana, che devono accontentarsi di circa 73mila euro annui. Solo che i giudici della Corte Suprema sono 9 (nove) e i nostri parlamentari 951.

Poi c?è il resto, su cui è bene citare Salvi e Villone: «Tra le spese rimborsate vi sono quelle per la retribuzione dei collaboratori (volgarmente detti portaborse) e quelle necessarie per lo svolgimento del mandato elettorale, quelle per i trasferimenti dal luogo di residenza a Roma, per i viaggi internazionali di aggiornamento, nonché le spese telefoniche. Spettano ai parlamentari le tessere per la libera circolazione autostradale e ferroviaria». Ecco, ci piacerebbe che le usassero un po? di più queste tessere, evitando di usare gli aerei di Stato come fa il senatore (nonché ministro) Clemente Mastella per andare a vedere un Gran premio di automobilismo, assieme ai suoi cari, come rivelato da L?Espresso.

I giornali, in questi giorni, non parlano d?altro, quindi è inutile fornire altri particolari. è più interessante fare un confronto con gli altri Paesi europei. Questo è possibile grazie al diligente lavoro svolto da due politologi milanesi, Luciano Fasano e Nicola Pasini, che hanno raccolto i dati sul costo di funzionamento della sola Camera in Spagna, Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia. I risultati, presentati al congresso annuale della Sisp – Società italiana di scienza politica (tenutosi a Catania dal 20 al 22 settembre), lasciano basiti: un deputato italiano costa al contribuente circa 1,5 milioni di euro l?anno,uno francese circa 850mila, uno spagnolo appena 257mila. Se si guarda al costo annuo per cittadino, il divario fra Italia e Spagna è 1 a 8, quello fra Italia e Gran Bretagna 1 a 4, quello fra Italia e Francia 1 a 2.

Un po? di storia

I privilegi della ?casta? non sono nati in un giorno: è stata una paziente accumulazione nell?arco dei decenni, una crescita continua rispetto alla legge n. 1102 del 1948, che stabiliva un?indennità mensile di 65mila lire e una diaria di 5mila lire per ogni giorno di seduta (3mila per i residenti a Roma). Tina Anselmi ha raccontato che i parlamentari del suo partito, allora, viaggiavano in seconda classe e dormivano in convento per risparmiare. I deputati del Pci versavano a Botteghe Oscure tutto il compenso e veniva restituito loro l?equivalente dello stipendio di un metalmeccanico.

Il lento rigonfiamento dei costi di Camera e Senato aveva un motivo non spregevole: i partiti di massa come la Dc e il Pci dovevano mantenere apparati capillarmente diffusi sul territorio e, potendo contare solo in misura limitata sui contributi degli iscritti, l?addossare alle istituzioni una parte considerevole dei costi di funzionamento era una soluzione. In questo modo, i due partiti erano relativamente autonomi dai finanziamenti ?interessati? di potenze straniere, o di chi controllava la ricchezza del Paese. Il motivo assai meno nobile era, ed è, ovvio: la politica recluta non solo gli idealisti, i militanti, gli entusiasti. Ha bisogno anche di persone normali, che si assumono il compito di far funzionare la città, la regione o l?intera Italia quando ne ricevono mandato dai cittadini. Queste persone normali devono svolgere un lavoro a tempo pieno e certamente sono più disposte a farlo se la busta paga, e i privilegi annessi, sono generosi.

Se i benefici sono superiori alle fatiche, oltre alle persone ?normali? si recluteranno anche un certo numero di persone che vedono nella politica il modo per assicurarsi un futuro: lo stipendio del consigliere regionale, o quello dell?assessore comunale, è l?equivalente di quelli di un dirigente d?azienda o di un rettore d?università. Com?è ovvio, è molto, ma molto, più facile diventare assessore a Napoli che rettore dell?università di Napoli.

Nel tempo, quindi, è cresciuta la pressione ?dal basso? perché si istituzionalizzassero sempre nuovi livelli: non solo lo Stato ma le Regioni, non solo i Consigli comunali ma le Circoscrizioni, non solo le Province ma le Comunità montane. Con il pretesto della partecipazione democratica e dell?avvicinarsi ai cittadini si è allargato a dismisura il numero di enti, ciascuno dotato di presidente, giunta, consiglieri, segreterie, auto di servizio e quant?altro. La moda del federalismo, nata con la prima ondata antipolitica, quella del 1992, ha aggravato tutti i mali che la alimentavano. è stato sull?onda del leghismo (sciaguratamente assecondato sia dal centrodestra che dal centrosinistra) che abbiamo assistito all?aumento del numero di consiglieri regionali (da 60 a 70 in Lazio e Puglia quand?erano governate dal centrodestra), all?aumento delle loro indennità, all?aumento delle commissioni consiliari, all?esplosione degli incarichi dirigenziali affidati ad amici politici (uno su cinque degli alti dirigenti della Regione Lombardia è esterno dell?amministrazione) e, infine, all?apertura delle pseudoambasciate: la Sicilia ha proprie sedi di rappresentanza da Bruxelles fino a Tunisi, benché la politica estera sia materia riservata al governo nazionale.

Il vero costo della politica
Tutto questo non avrebbe portato alla situazione attuale se la casta, per quanto costosa, privilegiata e arrogante, avesse fatto il suo mestiere. Sindaci, deputati e ministri sono pagati per decidere. La loro esistenza si giustifica soltanto perché una società di massa ha bisogno di regole, decisioni collettive, progetti a lungo termine. Nelle società liberali è intrinseca una certa diffidenza verso la politica, considerata una male necessario più che un bene collettivo, ma anche i più ortodossi fra i liberisti accettano il bisogno di polizia, diplomazia, difesa, regolamentazioni sul risparmio o la sicurezza alimentare. In realtà, c?è bisogno di molto di più: c?è bisogno di progetti di vita collettiva, idee su quale posto avrà l?Italia nel mondo, strutture efficienti di formazione per i giovani, assistenza per i vecchi e i malati. C?è bisogno di più Stato perché, palesemente, quello che abbiamo oggi non riesce a garantire scuola, sanità, pensioni al livello richiesto dai cittadini. Gli italiani sarebbero quindi disposti a pagare anche per la politica, a condizione che questa fornisca le decisioni necessarie nei tempi necessari. Nell?era della posta elettronica e dell?iPod non è possibile che le gare d?appalto durino anni, le strade non si costruiscano, le ferrovie facciano schifo mentre scuola e università sono all?abbandono. è il non decidere il vero costo della politica.

Questa lentezza, quando non è vera e propria paralisi, non dipende affatto dai localismi, dai ?veti? dei comitati di cittadini o dei piccoli partiti. Esistono anche questi, ma la vera ragione sta nella catastrofe della pubblica amministrazione: formalistica, lottizzata, spesso priva di senso dello Stato e di dirigenti all?altezza del loro compito. Noi non abbiamo le scuole di formazione come l?Ena francese, ma in compenso abbiamo 21 Tar che danno spesso ragione a chi non vuole pagare una multa per eccesso di velocità o rimuovere i tavolini del bar messi abusivamente sul marciapiede. Il problema non è che in Italia sia difficile decidere sui rigassificatori del metano o sulle centrali elettriche a carbone, è che il moltiplicarsi di livelli istituzionali (riempiti di persone ?normalmente? dedite ai propri interessi) paralizza tutto, aumentando i costi ben al di là di quelli dei gettoni di presenza e delle auto blu.

Il vero costo della politica
La risposta a Beppe Grillo, quindi, non consiste in accusarlo di essere ?antipolitico?: al contrario, gli si può rimproverare di avere un programma minimo, che non risolverebbe quasi nessuno dei problemi del tappeto. Certo, meglio un parlamento senza i 25 condannati in via definitiva, meglio una Regione Sicilia senza un presidente sotto inchiesta per collusione con la mafia, meglio deputati in carica 10 anni anziché mezzo secolo, ma tutto questo lascerebbe stipendi, indennità e privilegi esattamente dove sono adesso. Un movimento veramente innovatore deve rivendicare la riforma della macchina dello Stato, abolendo subito almeno due livelli istituzionali (Province e Comunità montane), tagliando drasticamente i compensi nei livelli che restano: la politica dev?essere un servizio, quindi i consiglieri comunali o circoscrizionali possono farla per passione, se vogliono, altrimenti si dedichino ad altre attività. Soprattutto, si può far funzionare il Paese con metà dei parlamentari attuali e con la cancellazione delle autonomie locali per quanto riguarda la formazione e l?entità dei compensi.

Bisogna drasticamente delimitare poteri e materie di intervento di Regioni, Province e Comuni, aggregando i più piccoli fra questi. Non c?è niente di semplice in tutto questo, perché si tratta di scendere nei dettagli, ma risanare una nazione può partire anche dalle piccole cose. Come il barbiere del Senato, per esempio.


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