Non autosufficienza

Long Term Care, non c’è buona cura senza buona occupazione

Come la qualità del lavoro incide sulla qualità del caring nelle grandi imprese attive nel comparto? Le risposte nel 6° Rapporto dell’Osservatorio Long Term Care del Cergas Sda Bocconi

di Stefano Arduini

Quali sono le maggiori criticità del settore della Long Term Cure? Ad accendere un faro su un comparto che – considerate le prospettive demografiche del nostro Paese – sarà sempre più determinante da qui a prossimi anni è stato il 6° Rapporto dell’Osservatorio Long Term Care del Cergas Sda Bocconi (a cura di Giovanni Fosti, Elisabetta Notarnicola ed Eleonora Perobelli), promosso da Essity Italia e presentato nei giorni scorsi. Il focus che prende in esame i principali player del settore descrive le tendenze e i cambiamenti in atto nel socio-sanitario e nell’assistenza agli anziani non autosufficienti affrontando i nodi della sostenibilità del settore rispetto alla dimensione economica, del personale e dei modelli di servizio. Uno studio che, fra l’altro, esce in concomitanza con il via libera del governo a una deludente riforma della non autosufficienza come gli esperti della Bocconi hanno tenuto a sottolineare anche nel corso della presentazione.   

In particolare in questa sede riprenderemo i passaggi più importanti rispetto alla dimensione del personale rimandando alla lettura del documento integrale gli altri approfondimenti. 

In via preliminare è utile riportare i numeri più significativi del settore, malgrado il rapporto segnali «ancora una volta l’esigenza di avere dati migliori e più recenti, utili non solo per le ricerche ma per chi fa le politiche pubbliche per prendere decisioni. Le ultime rilevazioni Istat e Ministero della Salute riguardano infatti gli anni 2021 e 2020, con uno scarto temporale di 3 anni da oggi».

  • Nel 2021 le persone over65 non autosufficienti erano 3.959.395, pari al 28,4% della popolazione over65.
  • Nel 2021 sono nuovamente diminuiti gli utenti in carico ai servizi diurni (-25%) mentre sono aumentati quelli in carico ad Adi-Assistenza domiciliare integrata (+4%). I dati disponibili non permettono comparazioni circa le Rsa.
  • Nel 2021 la risposta data dal welfare pubblico agli anziani non autosufficienti si è confermata parziale: solo il 7,2% degli anziani ha trovato risposta in struttura residenziale, solo lo 0,4% in centri semi-residenziali, il 22,2% tramite Adi la cui intensità media si è assestata su 16 ore annue per assistito.
  • Per il 2021, la stima aggiornata del numero di badanti – regolari e irregolari – è di 1.073.565 individui, segnando una lieve riduzione rispetto all’anno precedente (-4,9% rispetto al 2020).
  • Guardando ai gestori e alle loro caratteristiche si evince che: mantengono una focalizzazione sulla  residenzialità (56% del fatturato complessivo) prevalentemente destinata ad anziani (solo 37% del fatturato da servizi dedicati ad altri target). Il fatturato da servizi offerti sul mercato privato corrisponde all’87% in media, in rialzo rispetto all’anno precedente.

Lavoro di cura a rischio sostenibilità: le cause

«Una lettura approfondita del fenomeno attraverso le lenti del management non può tralasciare le dimensioni di attrattività, turnover e retention del personale, così come i modelli di incentivo e compensation attuati dagli enti, e la loro duplice connessione con benessere del lavoratore e qualità del lavoro di cura. In profonda connessione rispetto a queste dimensioni, i cambiamenti in atto suggeriscono inoltre la necessità di sostanziali investimenti non solo in nuove competenze, ma specialmente nella definizione di nuovi ruoli professionali e del loro relativo contenuto professionale (es. reskilling e upskillling degli attuali profili). 

Alto turnover, bassa attrattività del settore e scarsa numerosità del personale (sanitario e assistenziale) si confermano le dimensioni che, secondo gli enti nel campione, più impattano negativamente sul funzionamento delle aziende del settore Ltc e sulla sostenibilità futura. In secondo piano, pur sempre molto rilevanti, emergono le misure di incentivo agibili dalle aziende, l’attuale livello di benessere del personale e la qualità del lavoro di cura. A seguire, sempre con accezione negativa, emergono la possibilità di definire nuovi ruoli professionali e l’attuale livello di investimenti in formazione. Da ultimo, l’apporto della cura informale risulta l’unica dimensione tra quelle considerate a non essere ritenuta lesiva della sostenibilità delle organizzazioni (presumibilmente perché considerata al di fuori del proprio perimetro di attività). Considerando globalmente questi fattori (…) metà del campione dichiara una maggiore criticità per il servizio di Rsa.


La figura qui sopra evidenzia la percentuale di personale sanitario (medici e infermieri) e assistenziale (Oss/Asa) mancante per tipologia di ente rispondente, caratterizzato per la filiera di servizi che eroga. In media gli enti riportano che manca in organico il 10% del personale sanitario e il 7% del personale assistenziale. Concentrando l’attenzione sugli enti caratterizzati da una filiera socio-sanitaria (nella quale rientrano i servizi socio-sanitari quali la Rsa), i dati del 2023 (il 18% di personale sanitario e l’11% di personale assistenziale mancanti) confermano il trend nazionale e internazionale. Infatti, nel 2022 la carenza di infermieri registrata nei servizi sociosanitari per anziani era in media del 22% (il 26% a fine 2021), la carenza di personale medico del 13% (il 18% a fine 2021) e quella di Oss era dell’11% (il 15% a fine 2021).

La situazione non è omogenea tra tipologia di enti. Infatti, i gestori focalizzati sui servizi socio-sanitari riportano maggiori difficoltà nel reperire personale rispetto alla media complessiva degli enti del campione che operano nel settore Ltc. Questa criticità sussiste nonostante maggiori investimenti in modelli di incentivi economici e in formazione per il personale che proprio questi enti riportano rispetto al resto del campione. In un settore in cui il core business dei gestori rimane Rsa la strutturale carenza di personale e la difficoltà a reperirlo, nonostante il tentativo di agire sulla leva retributiva, pongono un grande interrogativo circa la sostenibilità del modello di business dei gestori e contribuiscono a sottolineare come attrattività e retention dei profili professionali non dipendano solo da fattori che possono sostenere la cosiddetta motivazione estrinseca, ma che questi debbano essere accompagnati dalla ricerca di un equilibrio con elementi che sostengano la motivazione intrinseca delle persone chiamate a operare negli enti.

Nel campione in analisi, oltre l’80% degli enti dichiara di rilevare il benessere del proprio personale attraverso questionari e riporta un benessere medio di 2,8 su una scala da 1 a 5, ben più basso della soddisfazione degli utenti. Inoltre, il 55% degli enti evidenzia una maggiore insoddisfazione tra il personale assistenziale, sul cui benessere gravano l’assenza di chiari percorsi di carriera e livelli salariali bassi (con una Ral media in termini di appena 23.400 euro (per un full time), scarsamente accompagnati da percorsi di crescita a contenuto professionale e investimenti sul clima organizzativo che possano sostenerne i livelli di motivazione intrinseca, in un settore dove diverse delle mansioni sono usuranti dal punto di vista sia fisico sia psicologico.

La forbice fra pubblico e privato

Per studiare come le dinamiche relative al personale impattino sulla sostenibilità del settore Ltc, sono stati chiesti i dati sui tassi di turnover aziendali. Nel campione in analisi si osservano in media più candidati rispetto alle posizioni aperte, nonostante questo dato registri ampia variabilità in relazione alla configurazione giuridica dell’ente. Infatti, il numero medio di candidati per ogni posizione è pari a 2,0 per il personale sanitario e pari a 2,8 per il personale assistenziale. Gli enti privati registrano maggiore criticità con 0,7 candidati/posto per il personale sanitario e 0,9 candidati/posto per il personale assistenziale, mentre, al contrario, gli enti pubblici registrano numeri migliori con 6,2 candidati/posto per il personale sanitario e 10,2 candidati/posto per il personale assistenziale. Dalla discussione di queste evidenze con gli enti aderenti all’osservatorio, oltre alle condizioni contrattuali più favorevoli, risulta rilevante la pratica della selezione tramite concorsi pubblici congiunti, dove le posizioni aperte afferenti a servizi LTC sono indette unitamente ad altre. (…) 

Alto turnover

Il tema, dunque, non è solo la ricerca del personale, quanto trovare personale qualificato, formarlo e/o trattenerlo. Infatti, i dati sul tasso di turnover del personale risultano estremamente elevati. In media si registra nel campione un tasso di turnover del 33% per il personale sanitario e del 25% per il personale assistenziale. Anche in questo caso sussiste una rilevante variabilità controllando per natura dell’ente, con i pubblici che registrano valori più contenuti (23% per il personale sanitario e 20% per quello assistenziale) rispetto ai privati (34% per il personale sanitario e 35% per quello assistenziale). In sintesi, sembra delinearsi un circolo vizioso: l’insoddisfazione del personale testimoniata da bassi livelli di benessere comporta un alto turnover che esita in una maggiore mobilità del personale e ricerca di nuove candidature. Queste ultime si rivelano spesso non adeguate agli standard di qualità attesi nel lavoro di cura, complicando ulteriormente le attività di ricerca di nuovo personale (…).

Conclusioni

In sintesi, l’analisi sulla sostenibilità relativa al personale e alle competenze negli enti ha evidenziato i seguenti punti di attenzione:

  • la carenza di personale persiste come una problematica centrale per i gestori, con deficit più evidenti tra coloro che si occupano esclusivamente della filiera socio-sanitaria;
  • si instaura un pericoloso circolo vizioso nel settore caratterizzato da personale insoddisfatto, elevato turnover e difficoltà nella ricerca di sostituti idonei a causa di candidature ritenute inadeguate;
  • le competenze attualmente presidiate sono focalizzate sulla gestione dei singoli servizi, trascurando invece un adeguato accompagnamento degli utenti attraverso i diversi stadi dei loro bisogni».

    Foto di Andrea Piacquadio/Pexels

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.