Welfare
Long Term Care, il welfare pubblico arranca
A dirlo sono i risultati del secondo Osservatorio LTC realizzato da CERGAS SDA Bocconi con il supporto dell'azienda svedese Essity. «Dal 2013 al 2016 gli over 65 non autosufficienti in Italia sono aumentati del 4,6% mentre il tasso di copertura del bisogno è rimasto pressoché stabile, passando da 10,4% a 10,2%». Le soluzioni più usati dalle famiglie sono badanti e caregiver
di Redazione
L’Italia è un paese anziano che continua a investire poco nel Long Term Care: dal 2013 al 2016 gli over 65 non autosufficienti in Italia sono aumentati del 4,6%mentre il tasso di copertura del bisogno – ovvero il numero di anziani non autosufficienti raggiunti da servizi pubblici residenziali e diurni – è rimasto pressoché stabile, passando da 10,4% a 10,2%.
Questo è uno degli elementi che emergono dal secondo Rapporto sull’innovazione e il cambiamento nel settore Long Term Care realizzato da CERGAS SDA Bocconi con il supporto di Essity (azienda svedese che opera nel settore dell'igiene e della salute) che ha l’obiettivo di fornire un quadro aggiornato delle caratteristiche del settore Long Term Care in Italia e mappare i segnali di cambiamento e innovazione osservabili.
Il Rapporto conferma che a fronte del bisogno crescente in termini di assistenza e servizi per le persone over 65 non autosufficienti, i servizi attualmente disponibili (pubblici e privati) non riescono ancora a fornire una risposta adeguata ai bisogni delle famiglie. In questo scenario, le badanti hanno superato un milione di unità nel 2018 confermando di essere la soluzione più diffusa e capillare nel nostro Paese (ad esempio si ricordi invece che gli ospiti dei servizi residenziali – RSA – sono circa 287.000 ogni anno). Emerge una forte necessità di rivedere i modelli di servizio e ricercare soluzioni innovative.
Lo spaccato regionale
Stringendo il campo di osservazione sulla popolazione over 75 non autosufficiente e su due tipologie di risposta al bisogno, quella istituzionale tramite RSA e quella tramite badanti, il rapporto evidenzia l’esistenza di tre situazioni a livello Paese: in alcune aree geografiche sia i servizi pubblici che la presenza delle badanti sono molto poco diffusi, infatti insieme raggiungono tra il 14 e il 30% della popolazione over 75 non autosufficiente. Le regioni coinvolte sono Molise, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria, Abruzzo e Campania. In questo caso il peso della cura è molto spostato sulle famiglie. In altre aree si riscontra una più strutturata presenza di badanti, una rete che, da sola, arriva a coprire tra il 41 e il 65% del fabbisogno degli over 75, in presenza di una diffusione eterogenea di servizi pubblici. Si tratta di: Valle D’Aosta, Umbria, Toscana, Sardegna, Lazio, Friuli, Liguria ed Emilia-Romagna. Infine, in altre ancora (Veneto, Piemonte, Trento e Lombardia) la rete pubblica è molto più estesa così come il ricorso a badanti. I due servizi insieme forniscono una copertura che supera il 70%.
«Questi dati mostrano profonde differenze tra territori regionali che corrispondono a diversi contesti socioeconomici ma anche a diversi modelli di welfare pubblico e articolazione del settore sociosanitario», commenta Elisabetta Notarnicola, Associate Professor of Practice, Divisione Government, Health e Not for Profit presso SDA Bocconi School of Management, «Esistono infatti aree più organizzate, in cui c’è stato un più alto investimento nel settore LTC, che nel tempo ha permesso una buona strutturazione del sistema sociosanitario accompagnato anche da una maggiore organizzazione delle famiglie che scelgono di rivolgersi a servizi privati e strutturati. In altri contesti, invece, il caregiving familiare è molto più intenso e continua a rimanere la prima (e talvolta unica) risposta».
«Se rimane immobile, il sistema di welfare pubblico rischia di essere messo a dura prova dalla continua espansione della popolazione non autosufficiente anche alla luce della sempre maggiore diffusione di patologie cronico degenerative. Serve un cambio di paradigma nelle politiche e nei servizi offerti», commenta Giovanni Fosti, Associate Professor of Practice, Divisione Government, Health e Not for Profit presso SDA Bocconi School of Management
A tal proposito il Rapporto ha indagato quale fosse l’effettivo impegno complessivo delle Regioni in termini di revisione delle politiche dedicate al mondo anziani. In particolare, si è analizzato che, tra il 2015 e il 2019, sono stati emessi ben 365 atti regionali sul tema, a segnale che questo è presente nelle agende di policy delle Regioni. La maggior parte degli interventi avevano però l’obiettivo di portare a regime o perfezionare il sistema (definendo o migliorando le già esistenti regole di funzionamento, quali standard assistenziali, tariffe e criteri di varia natura), mentre solo pochi erano orientati a promuovere un cambio di paradigma. Infatti, la percentuale di questi relativa all’introduzione di servizi innovativi è limitata al 10,7% nei 5 anni indagati.
Quali le strategie per il futuro?
«Rispetto al primo rapporto che aveva l’indubbio merito di fare ordine tra i dati di un sistema altamente frammentato, facendo luce in particolare sul fronte del bisogno della popolazione anziana non autosufficiente», dichiara Massimo Minaudo, Amministratore Delegato Essity Italia, «con questo secondo rapporto intendiamo approfondire ulteriormente la tematica, cercando soprattutto di indagare quella che potrebbe essere l’evoluzione del settore nei prossimi anni e delle possibili innovazioni che potrebbero essere sviluppate in futuro».
«In prospettiva futura sappiamo che la sfida demografica e, quindi, anche l’aumento dei non-autosufficienti, è implacabile. I servizi per come li conosciamo oggi, ci mostrano che il welfare pubblico riesce ad arrivare fino ad un certo punto considerando che le risorse finanziarie a disposizione sono limitate e contingentate anche da un periodo di scarsa crescita», aggiunge Notarnicola, «Il nostro Rapporto vuole quindi promuovere una riflessione sulle modalità che ci permetteranno di gestire la crescita dei fabbisogni e di offrire dei servizi in grado di dare una migliore risposta ad un numero sempre più alto di persone».
Rispetto a questo nel Rapporto si affronta il tema dell’innovazione dei servizi promossa dai gestori del settore sociosanitario, concludendo che questi si stanno facendo promotori di alcune spinte di cambiamento anche se gli investimenti dedicati non sono ancora tali da renderli dirompenti. Sono anzi ancora troppo poco strutturati.
In sintesi, è possibile però dire che sono in atto numerosi tentativi di cambiamento, sia lato pubblico che privato, ma ancora in cerca di una guida o di una rotta da seguire. Se per il futuro è auspicabile indirizzare il settore verso investimenti strutturali e di ricerca e sviluppo anche sul fronte della innovazione tecnologica, è importante che le politiche pubbliche si orientino in questa direzione anche coinvolgendo i gestori dei servizi e ascoltando la voce delle famiglie.
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