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L’ong italiana Coopi: “torniamo in Iraq”

L'organizzazione non governativa Coopi ha deciso di riprendere l'intervento umanitario in Iraq. Presenti quattro cooperanti.

di Emanuela Citterio

L’organizzazione non governativa Coopi (Cooperazione internazionale) di Milano ha deciso di riprendere i progetti di sviluppo e soccorso umanitario in Iraq. Quattro cooperanti sono partiti per la Giordania, dove faranno base per operare nel nord-est dell’Iraq, a favore degli sfollati curdi. Di seguito pubblichiamo la testimonianza di Valeria Fabbroni, una dei quattro cooperanti. “Siamo rientrati in Iraq dopo aver sconfitto i timori che stampa e Tv avevano cercato di attaccarci, come dei virus maligni; certo accompagnati da una certa dose di incertezza e di paura, che e? giusto ci sia sempre, perche? aiuta a tenere il livello di attenzione alto, ma intimoriti di quello che potessimo trovare, in fondo non lo siamo stati mai. L?Iraq e? un paese bellissimo; un?enorme pianura che vista dall?alto non regala alture o variazioni del paesaggio, dipinta con una mano di ocra, i campi, le case, persino l?aria e? fatta di sabbia. Quando l?aereo arriva sopra Baghdad, prima di lanciarsi in una distesa a spirale per motivi di sicurezza, cioe? per evitare di essere raggiungibile da eventuali missili lanciatigli contro, allora la citta? si srotola grandissima e piana sotto i tuoi occhi, cosi? grande e logica nel suo impianto da farti dimenticare quante difficolta? ci siano. Baghdad dall?alto fa vedere il suo ordito di strade perpendicolari, le case basse, i pochi alberi, il Tigri che si avviluppa come un serpente intorno alle case, ed il colore, cosi? unico, quell?ocra che copre tutto, come fosse una citta? abbandonata. Quello che siamo andati a fare rientrando in Iraq e? una sfida avvincente; rafforzare le condizioni degli IDPs, Internal Displaced Persons, cioè gli sfollati nel Governatorato di Nenewa, intorno alla citta? chiave di Mosul, per monitorare i bisogni e le priorita? cui porre rimedio. Le condizioni lavorative non sono delle piu? semplici, visti i forti limiti di sicurezza imposti per i movimenti e le visite sul campo. Gli IDPs sono quei gruppi di persone che sotto minaccia diretta o percepita, sentendosi in pericolo presunto o effettivo, sono stati costretti a lasciare i loro abituali luoghi di residenza, dove non possono tornare sia perche? le loro case sono state distrutte sia perche? occupate da altri, o semplicemente perche? non c?e? piu? spazio in questo nuovo e precario assetto dell?Iraq in questo momento, e cercare rifugio in punti di aggregazione temporanea dove sia loro assicurata protezione da aggressioni esterne. Gli IDPs, a differenza dei rifugiati non hanno pero? attraversato nessun confine fra stati, e sono rimasti all?interno dell?Iraq; vengono da situazioni diverse, hanno gruppo di appartenenza diverso ? sunniti, sciiti, curdi – , e sono dislocati da periodi diversi, alcuni dal precedente conflitto del 1992, altri dopo l?ultimo, quindi da un anno, altri ancora in seguito al processo di arabizzazione forzata voluto dal precedente regime. La situazione ed il modo di rapportarsi con loro e? estremamente delicato, in quanto le loro abitudini e culture non sono omogenee; il team Coopi che si sposta sul campo vede anche la presenza di una donna, per instaurare un dialogo con la parte femminile degli IDPs, per capire i limiti e le esigenze della parte di popolazione potenzialmente piu? vulnerabile, e per avere un quadro globale delle necessita?. Gli IDPs vivono in condizioni di precarieta? che saltano subito in evidenza; ammassati in scuole abbandonate, o in ex campi militari dell?esercito iraqeno abbandonati con l?ingresso dell?esercito americano un anno fa; manca l?acqua potabile, le condizioni igieniche sono disastrose, le carenze sanitarie, alimentari e di infrastrutture sono lampanti. Ma nonostante cio?, la maggiore preoccupazione riscontrata durante le interviste con i rappresentanti deputati a parlare dalle comunita? riguarda il futuro; infatti, nonstante le drammatiche condizioni di vita, la maggioranza di loro si dice pronta a rimanere a vivere nel luogo dove sono al momento, pur di non dover affrontare nuovamente spostamenti, insicurezze ed il difficile processo di adattamento alle condizioni di vita. Ed e? qui che l?impatto emotivo e? molto forte, perche? a fronte di condizioni di vita che ai nostri occhi risultano inaccettabili, emerge la necessita? umana di avere un luogo dove poter mettere su una bozza di nido, di rifugio per la propria famiglia, pe rinserire i bambini in un contesto scolastico che sia pronto ad accoglierli, per poter cucinare, pregare, parlare senza l?ansia di doversi spostare nuovamente, andarsene per un altro posto dove e? ignoto cosa si possa trovare e quanto possa durare. Coopi attraverso la propria azione tende ad avere un quadro dettagliato delle priorita? ed a cercarne sistematicamente delle soluzioni, in pieno rispetto delle differenze culturali e delle problematiche da affrontare; di fronte a cio? insicurezze e timori tendono come sempre a passare in secondo piano”.


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