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L’onda dei comitati, politica oltre il giardino

La crescita dello spontaneismo cittadino. E i partiti stanno a guardare

di Silvano Rubino

Proteste ma anche proposte. Manifestazioni ma
anche informazione e partecipazione. E un obiettivo comune: la qualità della vita C’erano una volta i comitati dei no. C’erano una volta e ci sono ancora. Ma se uno va oltre la superficie e scruta con attenzione la galassia sempre in crescita dei comitati spontanei made in Italy scopre che c’è qualcosa in più della famosa sindrome Nimby («not in my backyard», non nel mio giardino). A Torino, per esempio. Siamo ai primi di giugno, si parla della nuova moschea in progetto in via Urbino. Il Coordinamento comitati spontanei torinesi organizza un incontro pubblico con residenti, assessore, rappresentanti dell’associazionismo islamico. Si chiude con una proposta: un “patto sociale” che impegnerebbe le parti a riconoscere «garanzie di vivibilità, sicurezza e decoro per mantenere il giusto equilibrio tra residenti e cittadini di fede musulmana». «Il diritto al pluralismo religioso non è in discussione», dice Carlo Verra, presidente del Comitato. «Se l’accordo sarà firmato e non verrà rispettato, denunceremo chi non manterrà fede alle proprie promesse». Dalla protesta alla proposta: un passaggio non raro nel variegato mondo dello spontaneismo. A Bari il Comitato sotto il tetto ha realizzato un censimento, scoprendo che in città ci sono 31 immobili di proprietà pubblica e privata, abbandonati e in attesa di riqualificazione. La richiesta del Comitato al Comune? «Riutilizzarli per realizzare alloggi a costi contenuti».
«L’idea del comitato che dice solo no e si occupa solo del proprio orticello è fuorviante», conferma Donatella Della Porta, professore di Sociologia all’Istituto universitario europeo di Firenze, che su questo tipo di movimenti ha scritto anche un paio di libri (l’ultimo si intitola Le ragioni del no, con Gianni Piazza, Feltrinelli). «Magari cominciano a occuparsi del proprio orticello, ma poi vanno oltre, si creano i coordinamenti, le reti, al loro interno le persone fanno un percorso di partecipazione politica, imparano a occuparsi della cosa pubblica, si danno strumenti di apprendimento». Semplici cittadini che studiano piani regolatori, valutazioni di impatto ambientale, circolari del ministero dell’Istruzione, si occupano di ricorsi al Tar. E magari li vincono. Come a Brescia dove, qualche settimana fa, in piazza della Loggia, ai banchetti del Comitato spontaneo contro le nocività di Brescia e a quelli del Comitato Difesa salute e ambiente offrivano spumante. Si festeggiava l’accoglimento del ricorso contro le autorizzazioni concesse dalla Regione Lombardia per una discarica di amianto nell’ex cava Faustini dove, da luglio 2009 a febbraio 2010, è stato tenuto in piedi un presidio permanente di cittadini.
«Quella dei comitati è una forma molto intensa di partecipazione», spiega Della Porta, «le persone che ne fanno parte sono persone che probabilmente in altri momenti storici sarebbero entrate in un partito, ma che invece nella politica non trovano più le risposte ai loro problemi». Il caso dell’acqua pubblica è esemplare, in questo senso, con i comitati che nascono su situazioni locali molto specifiche, su problemi o sofferenze legate a un particolare acquedotto o alla gestione dell’acqua in un dato Comune. «Poi però», continua Della Porta, «hanno avuto la capacità di mettersi in rete, collegarsi a livello nazionale». Risultato: una valanga di firme per il referendum, partiti (Pd in testa) messi all’angolo, in grado solo di provare a stare su un’onda creata dal basso.
La politica, quindi, è quasi sempre “altro” rispetto a questo mondo. Anche perché sovente gli interessi contro cui si battono i comitati sono trasversali agli schieramenti. Il caso della Riviera del Brenta, in Veneto, raccontato nel libro La colata (Chiarelettere) è un esempio. Il progetto di Veneto City, due milioni di metri cubi di cemento per industria, artigianato e servizi, in un’area dove il consumo di suolo è già uno dei più alti d’Europa, ha incontrato il parere favorevole di molti esponenti di centrosinistra. E poi la Città della moda, la nuova Romea, la Pedemontana: in quel lembo di pianura, un tempo sede delle ville dei ricchi veneziani, è tutto un fiorire di cantieri. E di comitati. Ne sono nati 20, si sono uniti in un coordinamento e pubblicano un mensile, Cattivi: «Quando siamo partiti in giro per l’Italia per scrivere il libro», racconta Giuseppe Salvaggiulo, uno dei cinque autori de La Colata, «pensavamo di trovarci di fronte a un deserto civile. Invece ovunque, dalle regioni più produttive del Nord alle zone più povere del Sud, nelle metropoli come nei paesini, ci siamo imbattuti in una realtà che non conoscevamo, che i mass media colpevolmente ignorano».
La speculazione edilizia è uno dei temi che più ha trainato il fenomeno, sicuramente: «Ma i temi sono molteplici. Spesso finiscono per sovrapporsi. Li accomuna la difesa della qualità della vita», spiega Della Porta. Vivere meglio nel proprio territorio, un obiettivo forse minimo, ma che sa coinvolgere sempre più persone: a Milano i comitati spontanei sono 180. E la serata organizzata proprio dai Comitati per discutere i temi del «Manifesto per Milano» (vedi box) ha visto un’affluenza totalmente inaspettata, tanto da costringere gli organizzatori a cambiare sede in corsa. Altro che orticello…

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