Cultura
«L’omicidio di Novara? La sfida è capire come cambiano i nostri figli coi social»
Nel novarese il 23enne Alberto Pastore ha ucciso il suo coetaneo Yoan Leonardi perché geloso di Sara, la ragazza che lo aveva lasciato a luglio. Subito dopo ha avuto come unico interesse l’affidare ai propri profili social, Instagram e Facebook, la spiegazione dei fatti. «Non voglio demonizzare questi strumenti. Ma è ora che il mondo educativo cominci a studiare i cambiamenti antropologici che stanno portando», sottolinea Franco Taverna, educatore che dal 1979 lavora a fianco di Don Antonio Mazzi ad Exodus
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Prima accoltella il suo miglior amico, Yoan Leonardi (nella foto di copertina), che muore sul ciglio della strada. Poi, partito in macchina, posta un messaggio su Facebook e alcune stories su Instagram in cui spiega il perché del gesto. «Ho fatto una cazzata», sono queste le parole con cui Alberto Pastore definisce l’omicidio che ha appena compiuto e con cui inizia a giustificarsi con i propri followers. Ne abbiamo parlato con Franco Taverna, educatore che dal 1979 lavora a fianco di Don Antonio Mazzi e autore di “Selfie. Istantanee dalla generazione 2.0” edito da San Paolo
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Cosa l’ha colpita maggiormente di questa vicenda?
Sono tante. In primo luogo l’incapacità di percepire il peso dei fatti. È come se non sia in grado di capire la gravità di quello che è successo. Soprattutto perché non siamo di fronte ad un pericoloso psicopatico ma ad un giovane che fino ad un minuto prima nessuno aveva mai considerato strano o pericoloso. In questa vicenda mancano le scale di valore. Sono completamente saltate. Poi c’è un altro aspetto davvero impressionante
Quale?
Mancano completamente gli adulti in tutta questa vicenda. L’unica figura genitoriale che è presente, citata frettolosamente dal giornalista, è il padre della ragazza che è presente durante l’intervista che le ha fatto il Corriere. È incredibile come un ragazzo che ha appena compiuto un gesto estremo ed enorme come l’uccidere un suo amico d’infanzia invece di chiamare la mamma o il papà si rivolge alla comunità dei pari sui social.
Le stories su Instagram postate da Pastore poco dopo l’omicidio
Come si spiega?
È saltato il passaggio dall’adolescenza all’età adulta con le sue fasi ritualizzate, i conflitti e i confronto con il mondo adulto. Si sta adultizzando l’adolescenza. Ragazzini che pensano di essere uomini, almeno all’interno a quella bolla di sapone che sono i social. Mentre gli adulti non se ne rendono conto. I genitori non sono più attori protagonisti della crescita dei figli a loro insaputa.
Il tema dei social è centrale anche per quanto riguarda il dibattito in quello che ha chiamato “comunità dei pari sui social”…
I commenti sotto a quei post sono grotteschi. C’è chi disquisisce la scelta del coltello quando potevano bastare i pugni, chi la butta in politica. È del tutto evidente che nessuno si trovasse fisicamente di fronte ad un accoltellamento avrebbe una reazione come questa. In cui nessuno si preoccupa dell’aggredito, del ragazzo che sta morendo. È un atteggiamento più simile a quello che si può avere davanti alla tv. Quello dei social è un rapporto con la realtà che è filtrato e anestetizzato e che non richiede alcun ingaggio. In sostanza è virtuale. Anche se le ricadute nella realtà sono gigantesche
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Il post su Facebook
A cosa si riferisce?
Alle ricadute antropologiche dei social network. Sia chiaro, io non voglio assolutamente demonizzare questi strumenti. Ma vanno presi sul serio. La riflessione, antropologica e filosofica, è lontana dall’aver colto il cuore della vicenda. Siamo nella più completa ignoranza. Uno dei temi più importanti che i social mettono in crisi è il tema dell’identità, del chi sono io. Il processo di identificazione, che è tipico dell’adolescenza fino a ieri si identificava nel confronto con gli altri. Un confronto fisico, fatto di sguardi, posture e relazioni. Oggi tutto questo non c’è più. O è molto limitato. È spappolato. Non so dire se sia meglio o peggio. Ma certamente è diverso.
Quindi sarebbe importante che il mondo educativo si misurasse con questi cambiamenti?
Assolutamente. Sarebbe una sfida importantissima. Sfida che dovrebbero raccogliere le università. Per ora abbiamo capito solo alcune sfumature e sfaccettature. Ma siamo di fronte ad una vera rivoluzione paragonabile all’avvento della scrittura. Dobbiamo cominciare a studiare per capire nel profondo il fenomeno.
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