Scenari

L’ombra di Trump sul futuro dell’Europa

Il 2024 sarà l'anno delle elezioni in tanti Stati del mondo, ma le uniche elezioni che potrebbero determinare un cambiamento radicale saranno ancora quelle americane che si terranno il prossimo 5 novembre. Vedremo verso la fine dell'anno se i calcoli di Netnhyau, Vucic e Putin, che non sono certo campioni di democrazia, si riveleranno corretti. Per l'Ue, comunque, è arrivata la fine dell'adolescenza

di Paolo Bergamaschi

Donald Trump

Sarà un anno di transizione il 2024, un anno di attesa, quindi un anno irrimediabilmente sospeso, almeno per quanto riguarda le prospettive della geopolitica europea. I più importanti istituti internazionali di ricerca si sono sbizzarriti nelle ultime settimane a ipotizzare gli scenari possibili per l’anno che è appena cominciato in considerazione del fatto che tanti sono gli appuntamenti elettorali che porteranno alle urne una buona fetta degli abitanti del pianeta. Sgombriamo, tuttavia, il campo dai dubbi. Tutti sono concordi nel ritenere che non ci saranno sorprese il 17 marzo quanto toccherà ai cittadini russi esprimere la loro preferenza sulla scheda. Di fatto c’è un unico candidato, lo stesso che da 24 anni comanda indisturbato a Mosca imponendo la sua legge con il pugno di ferro. Ne sa qualcosa Alexei Navalny, il principale oppositore del Cremlino, che sta scontando la sua condanna a 19 anni di reclusione, con l’accusa strumentale di avere fondato un gruppo estremista, dopo un trasferimento segreto di 6000 chilometri in un carcere a ridosso del circolo polare artico. Qualche incertezza potrebbe esserci a riguardo delle elezioni europee che si terranno a inizio giugno ma anche in questo caso è molto probabile che la consolidata alleanza fra popolari, socialisti e liberali che governa da sempre le istituzioni dell’Unione verrà confermata resistendo all’attacco dei partiti sovranisti che da una parte criticano l’incapacità d’azione dell’Ue e dall’altra si oppongono alle riforme necessarie per migliorarne il funzionamento in un cortocircuito paradossale.

Le uniche elezioni che potrebbero determinare un cambiamento radicale, alla fine, saranno ancora quelle americane che si terranno il prossimo 5 novembre. In attesa di quelle le diplomazie internazionali prendono tempo. Nonostante la supremazia americana a livello globale abbia mostrato segni di cedimento, nonostante l’erosione del potere finanziario e i tentativi di de-dollarizzare il commercio internazionale da parte di Cina e Russia le decisioni che vengono prese alla Casa Bianca condizionano ancora pesantemente gli sviluppi delle crisi in corso. Per quanto concerne l’Europa, in particolare, dovremmo prestare un occhio di riguardo ai tre focolai di instabilità a ridosso dei nostri confini nei quali l’Unione gioca un ruolo a fianco e di concerto con quello degli Stati Uniti che il ritorno al potere di Donald Trump potrebbe ribaltare.


“Finché c’è guerra c’è speranza” sembra essere il motto che guida Benjamin Netanhyau, la cui sopravvivenza politica è legata al prolungamento del conflitto a Gaza. Non è un mistero che i rapporti fra lui e Biden non siano idilliaci come non lo erano per nulla ai tempi di Barak Obama. Le sue disavventure giudiziarie e le sue fortune politiche potrebbero essere bilanciate o almeno coperte dall’ex presidente repubblicano di nuovo in sella che non ha mai mostrato una particolare attenzione alla causa palestinese. Già oggi la soluzione dei due stati appare illusoria; con Trump il cerino acceso rimarrebbe nelle mani degli europei che non hanno né la forza, né la compattezza per sostenere il progetto. Anche il presidente serbo Aleksandar Vucic, appena uscito vincitore dalle ultime elezioni fortemente contestate dall’opposizione, conta su un nuovo inquilino alla Casa Bianca. Con Trump al potere, infatti, Vucic era riuscito a rallentare il processo di riconoscimento e inclusione del Kosovo nella comunità internazionale contrariamente a quanto avviene oggi con la pressione crescente congiunta di Bruxelles e Washington che insistono per finalizzare i negoziati fra Belgrado e Pristina con l’obiettivo di ottenere la piena normalizzazione delle relazioni bilaterali. 

Tornando alla Russia anche Vladimir Putin punta sul magnate americano accaparrandosi in questi mesi il massimo del territorio ucraino per poi negoziare direttamente con lui un cessate-il-fuoco che confermi le conquiste sul campo. Va detto, tuttavia, che già nel 2022 Putin contava sulla sconfitta di Joe Biden alle elezioni di medio termine ma i risultati non gli hanno dato ragione.

Vedremo solo verso la fine dell’anno se i calcoli di Netnhyau, Vucic e Putin, che non vengono certo annoverati tra i campioni di democrazia, si riveleranno corretti. Per l’Ue, comunque, è arrivata, con grande ritardo, la fine dell’adolescenza e il momento di prendere in mano il proprio futuro.          

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