Economia

Lombardia, la locomotiva è la cooperazione sociale

Congiuntura. Il rapporto delle coop di lavoro Legacoop

di Benedetta Verrini

La notizia sta tutta lì, nei numeri: le cooperative sociali di Legacoop Lombardia danno lavoro a oltre 7mila persone sulle 27mila dell?intero sistema di cooperative di lavoro Legacoop della regione. Il terzo settore, in altre parole, rappresenta il traino più vivace della crescita della centrale cooperativa lombarda. Negli ultimi dieci anni, dal 1997 ad oggi, il numero di coop sociali è passato da 80 a 160 e il fatturato è cresciuto in maniera esponenziale, passando da 55 milioni di euro nel 97 ai 155 del 2006. Sui 7mila addetti sono 850 le persone svantaggiate pienamente inserite nel contesto di lavoro: portatori di handicap, soggetti con problemi psichiatrici, ex tossicodipendenti ed ex carcerati.

La crescita del pilastro sociale di Legacoop Lombardia ha interessato sia le coop di tipo A, che lavorano nell?assistenza sociosanitaria ed educativa, nei servizi di prevenzione del disagio sociale e di promozione del benessere; sia le coop di tipo B, che intervengono sull?inserimento lavorativo di persone svantaggiate. E proprio la cooperazione sociale interessa sempre più giovani (la maggioranza dei soci occupati) e donne (circa il 60%), attratti «dalla qualità e dalla stabilità del lavoro, che rappresenta una grande alternativa alla precarietà del sistema attuale», commenta Felice Romeo, presidente dell?Associazione lombarda cooperative di servizi. Le coop sociali sono anche un importante canale di accesso per gli stranieri, per i quali il lavoro in cooperativa rappresenta una strada verso la stabilizzazione e anche l?integrazione sociale. I servizi alle persone, peraltro, sono «uno dei tre settori strategici, insieme a edilizia e infrastrutture e filiera logistica, su cui le cooperative continueranno a concentrarsi nei prossimi anni», dice Romeo.

Il presidente Alcs non nega, però, che i servizi innovativi per l?infanzia e l?attenzione a giovani e anziani (che sono gli ambiti d?elezione della cooperazione sociale), dovranno saper governare una fase di trasformazione decisiva del sistema di welfare italiano, oltre a superare difficili ostacoli. «Da un lato, c?è una battaglia culturale da portare a compimento», spiega. «È necessario prendere atto che i servizi alla persona non possono più essere interamente coperti dal pubblico e totalmente gratuiti. Pur restando garantiti e accessibili a tutti, deve essere introdotto il criterio della compartecipazione alla spesa da parte dell?utente che se lo può permettere».

Eccesso di ribasso, eccesso di rischi
E poi c?è il nodo più spinoso, quello di riuscire a mantenere servizi di qualità della cooperativa nonostante i tagli di budget e le gare d?appalto pubbliche al massimo ribasso. «Sebbene alcuni enti locali abbiano scelto la via della voucherizzazione dei servizi», dice Romeo, «gli appalti al massimo ribasso continuano a imperversare. A volte gli enti locali chiedono alla cooperativa di fare solo manodopera, quando c?è il contratto di somministrazione che già dovrebbe coprire questo ambito. Dall?altro, purtroppo, concedono spazio a cooperative sociali ?spurie?, che non aderiscono a nessuna centrale cooperativa e sottopongono i propri addetti a condizioni irregolari di lavoro e stipendio. In questo modo riescono ad essere competitive, ma finiscono per sfruttare e penalizzare una categoria di lavoratori che sarebbe da proteggere, oltre a compromettere il rapporto con l?utenza».

La concorrenza sleale (e la pericolosità sociale) delle cooperative false o spurie è una piaga che interessa soprattutto i settori dell?edilizia, del facchinaggio e delle pulizie, al punto che Legacoop Lombardia ha lanciato la nascita del primo Osservatorio regionale sul facchinaggio, oltre a ribadire la richiesta al governo di ottenere in affidamento le revisioni di tutte le cooperative (il ministero delle Attività produttive riesce a controllare solo il 3% delle 16mila coop italiane non aderenti a nessuna centrale). Nell?ambito della cooperazione sociale il problema è meno diffuso, «ma non mancano cooperative spurie», dice Romeo, «persino create da commercialisti social oriented che trovano per i loro clienti comode soluzioni di risparmio fiscale. Ma non è questa la strada per far crescere il benessere generale, e noi lavoriamo ogni giorno per contrastarla, facendo sì che flessibilità non significhi precarietà, tanto meno per chi lavora nel welfare».

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.