Welfare
Lombardia: ceto medio e caregiver sempre più in difficoltà
Presentato a Milano il Rapporto di Over, l’Osservatorio vulnerabilità e resilienza nato dall’alleanza tra Acli, Irs e Ars. Una parte del report analizza la condizione economica di 300mila utenti dei Caf Acli: i redditi delle donne si confermano più bassi di quelli degli uomini. La seconda parte del rapporto è dedicata a un approfondimento sulla dimensione di vulnerabilità, come quella della non autosufficienza di un familiare
di Redazione
Il ceto medio arranca sempre di più, dopo tre anni tormentati che hanno attraversato un lockdown e una crisi economica planetaria da cui ci stiamo lentamente riprendendo. La conferma, l’ennesima, è arrivata questa mattina a Milano durante la presentazione del primo Report di Over, l’Osservatorio vulnerabilità e resilienza nato dall’alleanza tra le Acli – Associazione cristiana lavoratori italiani della Lombardia e gli enti di ricerca Irs – Istituto per la ricerca sociale e Ars – Associazione per la ricerca sociale. Il rapporto restituisce un quadro informativo interessante e, per certi versi inedito, sul ceto medio lombardo. La prima parte analizza la condizione economica, la capacità di spesa e i profili di vulnerabilità dei cittadini lombardi nel triennio 2020-2022, attraverso un’analisi longitudinale (che sarà strutturalmente aggiornata e ampliata nei prossimi anni) delle dichiarazioni fiscali di poco meno di 300mila utenti dei Caf Acli, divisi tra lavoratori dipendenti e pensionati, il cui reddito medio è di fatto coincidente con quello del complesso della popolazione regionale.
Una porzione non esigua dei cittadini della Lombardia risulta dunque a rischio, ed alcuni fattori più di altri determinano maggiori diseguaglianze. In particolare, il rapporto ha rilevato: disuguaglianze di genere (le donne hanno redditi significativamente più bassi dei contribuenti di sesso maschile, pari a 17.068 euro nel 2021 contro i 21.589 euro degli uomini, e risultano più esposte al rischio di vulnerabilità); disuguaglianze generazionali (gli over 67 presentano redditi mediani per il 44% più elevati dei contribuenti tra i 30 e i 45 anni; inoltre, i redditi da pensione sono gli unici ad aver tenuto nell’anno del primo lockdown: tra il 2019 e il 2020, tra i pensionati, si è addirittura registrato un aumento del reddito pari al +0,8%, contro una diminuzione dell’1,6% per i lavoratori); disuguaglianze tra famiglie (tra i contribuenti con figli a carico, si registra un valore mediano dei redditi molto basso, pari a circa 12mila euro contro gli oltre 21mila di coloro che non ne hanno, a conferma della maggiore esposizione al rischio povertà tra le famiglie con figli che, come ci ricorda l’Istat, rappresentano anche la tipologia familiare con una maggiore incidenza tra i poveri assoluti, specie se numerose e con minori); disuguaglianze di cittadinanza (i nati all’estero sono sicuramente più esposti allo scivolamento in situazioni di vulnerabilità, con redditi dichiarati pari a circa il 50% dei redditi dei nativi: 10.878 euro contro 20.122 euro nel 2021, con una minore capacità di spesa); disuguaglianze geografiche (in gran parte correlate con la diversa struttura del mercato del lavoro: a Milano, e a seguire nelle province di Monza-Brianza e Lecco, si registrano i redditi più elevati; all’estremo opposto, la provincia in cui si registrano i redditi medi più bassi risulta invece Brescia, mentre le province più benestanti risultano anche le più sperequate per distribuzione dei redditi; disuguaglianze educative (la pandemia ha accentuato le disuguaglianze nell’opportunità di accesso all’istruzione, e l’analisi delle spese relative a questa voce conferma divari importanti tra contribuenti più e meno abbienti del panel lombardo; solo un terzo dei contribuenti con figli a carico può permettersi una spesa per istruzione non universitaria privata o paritaria e l’incidenza dei contribuenti che dichiarano spese a copertura dell’università dei figli aumenta di ben cinque volte al crescere del reddito, così come l’importo medio della suddetta spesa); disuguaglianze sanitarie (le spese sanitarie e per l’assistenza personale sono quelle maggiormente dichiarate, in media da quasi quattro contribuenti su cinque; pressoché tutte le tipologie di spese legate alla salute, dai farmaci alle visite specialistiche, crescono all’aumentare del reddito; le spese dentistiche e per il benessere della vista, più frequentemente sostenute dai contribuenti con figli a carico, sono tipicamente utilizzate come proxy del livello di benessere o deprivazione economica delle famiglie: non a caso i contribuenti più ricchi analizzati dal Rapporto spendono in media il 25% in più in ottica e il 20% in più per spese dentistiche rispetto al quinto più povero della popolazione.
Le spese per persone con disabilità o non autosufficienza non sembrano essere influenzate dal crescere del reddito, in quanto si riscontra una sostanziale omogeneità tra fasce di reddito, sia in termini di ammontare della spesa sostenuta che di quota di contribuenti che le hanno dichiarate, peraltro molto contenuta (solo il 2% del panel). Tuttavia, con riferimento alle spese sanitarie e alle spese per la non autosufficienza, quello che fa davvero la differenza è la sostenibilità della spesa e il suo impatto complessivo, che cresce drammaticamente al diminuire del reddito. Si pensi ad esempio alle spese per l’acquisto e/o adattamento di veicoli che, con un valore medio di oltre 15mila euro annui, arrivano ad incidere per quasi il 90% sul reddito dei contribuenti che le sostengono. Questo ceto medio, a uno sguardo più approfondito, rivela quindi una stabilità solo apparente.
La seconda parte del rapporto è strettamente collegata, ed è dedicata a un approfondimento sulla dimensione di vulnerabilità come quella della non autosufficienza di un familiare, promuovendo la più estesa ricerca mai realizzata sui caregiver lombardi: nello specifico, si tratta un’indagine su quasi 2.000 utenti del Patronato Acli della Lombardia. In sostanza, quando una famiglia già sotto pressione ha anche un carico di assistenza verso persone malate, anziane o in difficoltà, rischia di non farcela davvero. La fotografia che ne esce è per certi versi la versione in negativo della precedente, ma evidenzia anche in questo caso diversi elementi di vulnerabilità, come l’assottigliarsi delle strutture familiari, la crescita dei “caregiver-nonni”, la residualità del ricorso ai servizi pubblici o privati che siano.
Dalla ricerca si delinea un cambio culturale post pandemico che vede, soprattutto nei caregiver più giovani, una nuova e forte consapevolezza sulla responsabilità delle istituzioni pubbliche nella cura degli anziani fragili e, conseguentemente, una maggiore richiesta di servizi e supporti in vece di semplici contributi monetari. Nel complesso, dal Report 2023 emerge un ceto medio lombardo in chiaroscuro, con situazioni individuali e familiari che, seppure tutelate, sono sempre più esposte al rischio di vulnerabilità, da cui la necessità di una più convinta interpretazione della resilienza come un elemento comunitario, infrastrutturale, multidimensionale più che individuale/familiare.
«Stiamo attraversando anni di cambiamenti estesi, profondi, trasformazioni e processi che, anche nella ricca Lombardia, spesso determinano un aumento delle fragilità, delle disuguaglianze, del rischio di vulnerabilità per una crescente parte di cittadini», commenta Martino Troncatti, presidente di Acli Lombardia. «Una più ampia e profonda conoscenza di questi cambiamenti rappresenta un passaggio necessario, sia per chi si interessa di ricerca, sia per chi si occupa di policies: è in questo contesto che si inserisce l’Osservatorio vulnerabilità e resilienza».
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