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L’olocausto silenzioso dei disabili

Il progetto di eutanasia nazista pose fine alla vita di oltre 70mila persone

di Franco Bomprezzi

Nella giornata della Memoria c’è un capitolo, spesso rimosso, dell’Olocausto che deve, invece, essere adeguatamente esplorato, ovvero lo sterminio delle persone con disabilità. Una strage di circa 270 mila disabili, prevalentemente mentali, che è stato deciso e attuato con metodo, partendo dal programma di “eutanasia sociale” messo a punto dal nazismo. Esiste un’ampia documentazione storica, che però fatica ad essere condivisa, anche se negli ultimi anni si moltiplicano le iniziative divulgative.

In particolare a Roma si conclude oggi la mostra Progetto Eutanasia: Sterminate i disabili!, percorso educativo di carattere storico-iconografico sul progetto di “eutanasia” nazista Aktion T4, iniziativa realizzata dall’Associazione Olokaustos, sotto l’alto patrocinio dell’Unesco e in collaborazione con il Centre Simon Wiesenthal – Europe, l’Associatione Verbe e la Fondazione di Venezia (La Casina delle Civette, Via Nomentana, 70, ore 9-16.30 tutti i giorni dal 14 al 27 gennaio). La ricostruzione storica del progetto di sterminio dei disabili è consultabile nel bel dossier del sito www.olokaustos.org

L’idea nazista di eugenetica è riassunta nelle parole di Heinrich Wilhelm Kranz (1897-1945) direttore dell’Istituto di Eugenetica dell’Università di Giessen: “Esiste un numero assai elevato di persone che, pur non essendo passibili di pena, sono da considerarsi veri e propri parassiti, scorie dell’umanità. Si tratta di una moltitudine di disadattati che può raggiungere il milione, la cui predisposizione ereditaria può essere debellata solo attraverso la loro eliminazione dal processo riproduttivo”.  Il primo passo verso l’attuazione del piano di eutanasia si ebbe nel 1933 con l’emanazione della “Legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie”. La legge del 1933 di fatto autorizzava la sterilizzazione forzata delle persone ritenute portatrici di malattie ereditarie. Il risultato pratico fu la sterilizzazione di più di 400.000 tedeschi durante i 12 anni di regime. La Direzione Sanitaria del Reich creò in tutta la Germania circa 500 “Centri di consulenza per la protezione del patrimonio genetico e della razza”. I medici che li dirigevano furono incaricati di raccogliere tutti i dati necessari per stimare quale parte della popolazione dovesse essere sterilizzata e controllare le nascite di bambini deformi o psichicamente disabili.

A dare inizio al processo di eutanasia fu un ordine scritto di Adolf Hitler datato 1° settembre 1939 su carta intestata della Cancelleria: “Il Reichsleiter Bouhler e il dottor Brandt sono incaricati, sotto la propria responsabilità, di estendere le competenze di alcuni medici da loro nominati, autorizzandoli a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l’umano giudizio, previa valutazione critica del loro stato di malattia”. Subito dopo l’emanazione dell’ordine di Hitler Philip Bouhler e Karl Brandt iniziarono ad organizzare la struttura che avrebbe dovuto condurre l’operazione di eliminazione. In primo luogo venne stabilita la sede dell’organizzazione. A Berlino, al centro dell’elegante quartiere residenziale di Charlottenburg, venne espropriato un villino di proprietà di un ebreo. Lo stabile si trovava al civico numero 4 della Tiergartenstrasse. Proprio da questo indirizzo fu ricavato il nome in codice per l’operazione di eutanasia: “Aktion T4”. Verso l’autunno del 1939 dalla sede di Berlino della T4 cominciarono a partire i questionari indirizzati agli istituti psichiatrici del Reich.

I questionari erano molto generici per non allarmare nessun direttore. Una volta decise le persone da eliminare la sede centrale di Berlino preparava delle liste di trasferimento che inviava ai singoli istituti avvertendo che si preparassero i malati per la partenza. Il giorno stabilito si presentavano uomini della “Società di Pubblica Utilità per il trasporto degli ammalati”. I pazienti venivano caricati su grossi pullman dai finestrini oscurati e trasportati in uno dei sei centri di eliminazione: Grafeneck, Bernburg, Sonnenstein, Hartheim, Brandenburg, Hadamar. In questi istituti erano stati predisposti delle camere a gas camuffate da sale docce e forni crematori per l’eliminazione dei cadaveri. Il Programma T4 nel suo svolgimento tra il 1940 ed il 1941 pose fine alla vita di 70.273 persone classificate come “indegne di vivere”. La Chiesa, sia protestante che cattolica, iniziò a far sentire la propria voce contro la pratica dell’eutanasia. Tra le tante voci che si levarono vi fu quella dell’arcivescovo di Münster, Clemens August von Galen. L’arcivescovo pronunziò un sermone durissimo il 3 agosto 1941: la condanna dell’eutanasia non solo fu durissima in teoria ma l’arcivescovo denunziò lo Stato come autore delle uccisioni. Hitler di fronte alla marea di proteste decise di sospendere l’Aktion T4.

L’azione di eutanasia era ufficialmente finita ma l’eliminazione dei “malati di mente” non era terminata: iniziava quella che i medici tedeschi chiamarono “eutanasia selvaggia” e un’altra “Aktion” ancora più segreta: la “Aktion 14F13”, dal nome del modulo che doveva essere compilato per l’elenco dei disabili da eliminare. La commissione doveva recarsi nei campi di concentramento per visitare malati di mente, psicopatici e detenuti ebrei inizialmente del campo di Buchenwald e – successivamente – di tutti i campi di concentramento controllati dalle SS. L’intera operazione ebbe il nome di “Aktion 14F13” dalla sigla del formulario utilizzato nei campi per registrare i decessi. I “selezionati” dovevano essere inviati nelle cliniche di eliminazione e gasati. Non è possibile stabilire quante persone vennero uccise nel quadro della Aktion 14F13. Nell’ambito della operazione venivano infatti eliminate anche persone non affette da nessuna malattia. Il programma di eutanasia soltanto formalmente si rivolgeva ai disabili psichici e fisici. In realtà la sua applicazione si estese anche a quelle persone che, per stili di vita e comportamenti fuori della norma venivano considerati una “minaccia” biologica.  

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