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Giornata Mondiale del Rifugiato

Lodigiani (Iperborea): «Con Yakouba la mia casa ora è un libro aperto»

Emilia Lodigiani, la fondatrice della casa editrice Iperborea racconta come e perché è nato il suo impegno nell'accogliere i migranti attraverso l'organizzazione Refugees Welcome Italia. La sua esperienza si è allargata anche al catalogo letterario che accoglie una trentina di titoli sul tema delle migrazioni

di Federica Pirola

Occhiali appoggiati sui capelli bianchi a caschetto, sguardo chiaro e gentile: Emilia Lodigiani ha fatto suo il motto del padre, “noblesse oblige”, “la nobiltà comporta obblighi”. «Se hai avuto dei privilegi – il dono di una cultura, vivere in un Paese bello, avere una famiglia felice – devi essere all’altezza di quello che hai ricevuto», spiega, ricordando i motivi che l’hanno spinta a “fare la sua parte” di fronte alle terribili notizie raccontate sui giornali.
Un impegno, il suo, nato dalla lettura e approdato negli anni anche nel catalogo di Iperborea, la casa editrice indipendente da lei fondata nel 1987.

Un’emergenza che non possiamo ignorare

«Noi oggi giudichiamo come sfruttatori schiavisti i borghesi europei che nel XVII secolo si arricchivano alle spese delle colonie», afferma l’editrice «ma molti di loro nemmeno sapevano come arrivavano sulle loro tavole lo zucchero e il caffè o cosa era il commercio triangolare. Oggi invece noi non ignoriamo niente: lo leggiamo sui giornali, lo vediamo in tv».
Non ci sono giustificazioni quindi per non vedere ciò che i numeri raccontano chiaramente. Secondo l’ultimo rapporto Global Trends 2024, pubblicato da Unhcr (Agenzia Onu per i rifugiati), nel mondo ci sono infatti quasi 120 milioni di persone in fuga da guerre e cambiamenti climatici.
In Italia, alla fine del 2023, i titolari di protezione internazionale erano circa 138.000, 147.000 i richiedenti asilo – cioè coloro che sono fuori dal proprio Paese e presentano, in un altro stato, domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, o per ottenere altre forme di protezione internazionale -, oltre 161.000 i cittadini ucraini titolari di protezione temporanea e circa 3.000 le persone apolidi. Dati, questi, destinati a crescere. 

Il devastante conflitto in Sudan, i combattimenti nella Repubblica Democratica del Congo, la catastrofe nella Striscia di Gaza e la situazione in Siria sono solo alcuni dei fattori chiave che hanno aumentato il numero di rifugiati nell’ultimo periodo. Ad essi si aggiungono anche l’emergenza climatica e i correlati fenomeni di insicurezza alimentare ed energetica. 

Come si diventa una famiglia accogliente

Leggendo cifre così allarmanti, già nel periodo dell’emergenza in Afghanistan, Emilia cominciò a guardarsi intorno, per capire che cosa potesse fare nel concreto. Scoprì così che tramite Refugees Welcome Italia – Rwi, un’organizzazione indipendente attiva in 30 città italiane, poteva offrire ospitalità in casa propria a giovani rifugiati in uscita dai centri di accoglienza. Si trattava di persone con regolare permesso di soggiorno che, ottenuti i documenti, non erano ancora pienamente indipendenti e rischiavano quindi di trovarsi in una situazione di emarginazione, proprio durante i primi passi per inserirsi in Italia. Grazie alla rete di attivisti, partner e famiglie accoglienti, Rwi dava quindi un sostegno ai rifugiati in uno dei momenti più critici del loro percorso di inclusione. 

Un’occasione di scambio

«Avevo posto in casa e così ho mandato la richiesta per accogliere», racconta Lodigiani «finché, nel 2022, mi proposero Yacouba, un rifugiato del Mali. Aveva 29 anni, ma non credo fosse la sua vera età, sembrava più giovane… ». In quel periodo, il ragazzo faceva il pizzaiolo ed era molto apprezzato nel suo lavoro, ma sognava anche di fare qualcosa di diverso. «Cominciai a insegnargli un po’ l’italiano», ricorda Emilia, consapevole di quanto conoscere la lingua del Paese di accoglienza fosse il primo passo per l’integrazione e un requisito fondamentale per compiere qualsiasi azione, come fare la patente.
Yacouba però faticava ad imparare: «non era mai andato a scuola nel suo villaggio in Mali, non era abituato se non per qualche parvenza di lezione nel campo profughi….», spiega la donna.
Pur con qualche difficoltà però, anche grazie al lavoro dei mediatori culturali, i mesi passavano e la convivenza diventava per Emilia un’occasione di scambio: «Yacouba è una persona molto sensibile e di profondissima umanità: capiva subito quando non stavo bene e con grande gentilezza mi offriva il suo aiuto». 

La storia di Yacouba

Il passato di Yacouba, invece, emergeva solo di tanto in tanto: «al corso che ho seguito prima di accogliere», precisa Emilia «i referenti di Rwi ci consigliarono di non fare mai domande dirette ai giovani rifugiati a proposito della loro storia, a meno che non fossero loro a volerne parlare. Il rispetto dell’altro è anche questo: aspettare che ci sia quel desiderio di confidenza». 

E così, un po’ a spizzichi, Emilia scopriva qualche scorcio della vita del suo ospite, come i tre anni trascorsi nei campi profughi, «tempo buttato via», o il terribile viaggio sul barcone verso le coste italiane, segnato da un drammatico ricordo, quello cioè di un bimbo piccolo strappato via, a causa delle onde, dalle braccia di un uomo sul bordo del gommone che si era offerto di aiutare la madre stremata dalle urla del piccolo. In punta di piedi, la donna veniva a conoscenza anche dei motivi dietro ad alcuni comportamenti bizzarri del ragazzo, come il fatto che in un anno non avesse mai voluto assaggiare frutta o verdura, dovuto al fatto che era stato costretto a mangiarle tutti i giorni per un lungo periodo. Il trauma esigeva il suo tempo per essere metabolizzato. «Yacouba però mi raccontava soprattutto la sua vita al villaggio», aggiunge Emilia «della famiglia (1000 persone!), dei fratelli e sorelle, la madre, con cui ho anche parlato a gesti e sorrisi whatsapp, la non scuola, le tradizioni famigliari, la giovanissima sposa…». 

Legami che restano

Dopo poco più di un anno insieme, tra chiacchierate e rapide colazioni condivise, prosegue Emilia: «riuscimmo a partecipare a uno di quei bandi della Regione per avere una casa con un affitto calmierato. Fortunatamente, Yacouba riuscì ad ottenerla e nel 2023 si trasferì a Cinisello». 

Il legame tra loro però non è venuto meno. Per Emilia, quella prima esperienza di accoglienza è stata «un obbligo morale, una piccola goccia» per rimanere fedele al motto del padre, “noblesse obblige”. 

In catalogo i libri sulle migrazioni

Quella sensibilità l’ha accompagnata e continua a farlo anche sul lavoro, ad Iperborea. «Se ha senso l’arte, se ha senso la musica o la letteratura, è perché dovrebbe renderci più umani, più in grado di capire, immedesimarci negli altri, vedere l’aspetto più profondo che ci affratella».
Per questo, la casa editrice accoglie nel suo catalogo libri come la Trilogia degli Schiavi del danese Thorkild Hansen, sul traffico degli schiavi; Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson, sulla storia di una rifugiata rom in Svezia che si finge ebrea; Chi è nudo non teme l’acqua, il primo libro del reporter Matthieu Aikins che, dopo aver vissuto anni in Afghanistan, finse di essere un migrante per accompagnare un suo amico lungo la rotta balcanica e raccontarla, rischiando la sua stessa vita. E così altri trenta titoli sul tema migranti, immigrati, clandestini, rifugiati. «Uno degli scopi di leggere» spiega lei «è arrivare a una comprensione umana più forte». 

Amin ed Emilia

Oggi, Emilia sta accogliendo in casa sua Amin, un rifugiato del Sudan che, al contrario di Yacouba, ha ricevuto un’alta educazione: è un ingegnere, laureato come suo padre a Khartoum. Il ragazzo, scappato dal suo Paese quando aveva 20 anni, fuggì dapprima in Francia. Dopo due anni trascorsi nel limbo burocratico del richiedente asilo, decise di venire in Italia, oltrepassando le frontiere grazie a una inaspettata ma salvifica rete di solidarietà. Il giovane ha 26 anni e sta cercando lavoro. 

Accorgersi dell’altro è importante

«Quello che faccio non scarica la coscienza rispetto a quello che succede attorno a noi», conclude Emilia «ma è un modo per ricordare l’importanza della gentilezza: accorgersi dell’altro, anche solo con un piccolo gesto».

Nell’immagine in apertura Emilia Lodigiani con il suo primo ospite il profugo maliano Yacouba


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