Sostenibilità

Lo sviluppo pulito? Taglia fuori il continente nero

Pochissimi i progetti anti emissioni realizzati in Africa

di Joshua Massarenti

Al Summit delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico previsto a Durban (Sudafrica) tra il 28 novembre e il 9 dicembre non mancheranno le polemiche. Tra i tanti temi che rischiano di finire al centro di scontri diplomatici violentissimi ci sarà il “Meccanismo di sviluppo pulito”, meglio noto come Clean Development Mechanism (Cdm). Esso prevede la possibilità, per le aziende delle nazioni industrializzate, di partecipare a progetti sulla riduzione delle emissioni nei Paesi in via di sviluppo. Le emissioni evitate hanno un valore: fanno guadagnare dei crediti (titoli di riduzione delle emissioni, o Certified emission Reductions, Cers) e ogni credito equivale a una tonnellata di anidride carbonica che l’impresa può rivendere sul mercato o utilizzare. Già minato dalle accuse di frodi e raggiri, ora il Cdm deve vedersela con i sindacati agricoli dell’Africa australe, che hanno scritto una lettera ai negoziatori del summit in cui puntano il dito contro i complicatissimi meccanismi di finanziamento. La stragrande maggioranza dei 3mila progetti finanziati dal 2005 attraverso il Meccanismo di sviluppo pulito sono stati attribuiti in Cina, Brasile e India. Il peso dell’Africa non superava l’1,4% dei progetti finanziati nel 2008. All’epoca su 18 progetti selezionati nel continente, 14 erano sudafricani e soltanto 6 erano legati al settore agricolo. Da allora la situazione non è certo migliorata. L’Agenzia Onu per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) fa sapere che oggi l’Africa accoglie soltanto il 4% dei progetti sostenuti dal Cdm. «I piccoli contadini non hanno le conoscenze necessarie per presentare progetti», sostiene Effatah Jele, rappresentante sindacale dei contadini zambiani. «Le procedure sono lunghe e complicate», riconosce Christina Seeberg-Elverfeldt della Fao, «ma non è una missione impossibile. I contadini devono raggrupparsi e presentare progetti che coinvolgono almeno 50mila agricoltori».


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